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Welfare aziendale a misura di Millennial

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11 Giugno 2019

American Express

«Tempo, non soldi». Se i lavoratori moderni dovessero coniare uno slogan, sarebbe sicuramente questo. E chi si occupa di Human Resources farebbe bene ad ascoltarlo. Il classico posto fisso con scatti di carriera più o meno promettenti, infatti, non basta più. E qui entra in gioco il welfare aziendale, leva fondamentale per attrarre e trattenere i Millennials, ovvero i giovani nati tra gli anni ’80 e i primi anni 2000 che ormai ingrossano sempre di più le fila dei nuovi lavoratori.
 
 
Secondo un’indagine condotta da Jointly con il supporto di un team di ricerca del Dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, per 3.200 under 35 occupati in 10 importanti realtà aziendali, infatti, ciò che più conta nel mondo del lavoro è l’ambiente che un’azienda è in grado di creare e la cultura che riesce a trasferire alle sue persone. Così, leve come la retribuzione o il premio di risultato, passano in secondo piano rispetto alla work-life balance e a iniziative di valore sociale. Il welfare, quindi, deve essere rigorosamente parametrato alle necessità del singolo dipendente, mandando in soffitta i pacchetti standard.
 
 
Del resto, il ragionamento va da sé: al variare dell’età del lavoratore cambiano anche le priorità. Un 25enne è più probabile che sia interessato a piani di formazione professionale, un 35enne a servizi di work-life balance, un 50enne a servizi di aiuto per la cura dei genitori anziani o a piani di previdenza integrativa. Non a caso, tra le opportunità di welfare più apprezzate dai millennials spiccano le attività di volontariato, i corsi di formazione, gli eventi di socializzazione, i piani di flessibilità oraria e finanche le iniziative di consulenza nutrizionale. Questo perché ciò che fa davvero la differenza per le nuove generazioni è il tempo da poter dedicare a sé stessi, con la certezza che una maggiore armonia tra la dimensione lavorativa e quella personale potrà anche garantire vantaggi in termini di produttività.
 
 
E allora, ecco alcuni esempi di realtà che hanno intuito prima di altre questo cambio di esigenze. Ferrero si è dotata già dal 2009 del programma “People Care” con cui mette a disposizione servizi come l’ambulatorio pediatrico, l’esenzione delle lavoratrici madri dal lavoro notturno, il bonus per l’istruzione dei figli e un concierge tutto fare per l’adempimento di pratiche e commissioni; Timberland garantisce ai propri dipendenti fino a 40 ore retribuite per fare volontariato; Twitter mette a disposizione in ufficio lezioni di yoga, sedute di agopuntura e corsi di arrampicata su pareti attrezzate mentre Airbnb offre circa 2 mila dollari all’anno ai suoi dipendenti per viaggiare in giro per il mondo. E poi c’è American Express che dedica ai giovani lavoratori un pacchetto di opportunità decisamente ampio: dal “Blue Work” che consente di lavorare fuori ufficio per due giorni alla settimana al programma di healthy living con screening medici dedicati passando per le leadership academy, per i programmi di volontariato, il lavoro agile, la ludoteca, i flexible benefit da reinvestire in spese diversificate e le iniziative a sostegno della comunità LGBT.
 
 
Come confermato da Glassdoor, il portale statunitense che recensisce le aziende con le opinioni dei dipendenti, infatti, le iniziative di stampo etico sono molto importanti per i lavoratori, specie per i millennials. Sono d’esempio, in questo senso, Accenture e Facebook, che sostengono a livello economico i dipendenti che vogliono sottoporsi a un cambiamento di sesso, dimostrando chiaramente quanto il welfare aziendale vada sempre più tarato sulle esigenze del singolo dipendete. E i Millennials, la cui identità valoriale e professionale è per la prima volta radicalmente diversa rispetto alle generazioni precedenti, hanno ben chiaro cosa conti davvero per loro.

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