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La produzione nostrana di cibo si fa sempre più digitale nei processi, e la quarta rivoluzione industriale applicata al settore agricolo corrisponde già a un valore di 450 milioni di euro, facendo segnare un netto +22% nel 2019 rispetto all’anno precedente. E il 2020 promette già di proseguire sullo stesso trend. Le attività migliorate, potenziate o rivoluzionate dal digitale riguardano sia i processi “in campo” – con la cosiddetta agricoltura di precisione – sia l’estensione delle nuove tecnologie al resto delle attività di filiera, aprendo al concetto più ampio di smart farming.
A scattare una fotografia aggiornata dello stato dell’arte del settore è stato l’Osservatorio Smart AgriFood, nato dall’unione delle forze tra la School of Management del Politecnico di Milano e il Laboratorio Rise (Research & Innovation for Smart Enterprises) dell’università di Brescia. “Il digitale è servito – dal campo allo scaffale, la filiera agroalimentare è sempre più smart” è il titolo scelto per sintetizzare l’esito di una ricerca presentata da poche settimane e riferita ai dati definitivi dell’anno scorso.
Oggi l’Italia rappresenta il 5% del mercato globale dell’agricoltura hi-tech ed è un risultato straordinario se si pensa che in due anni ne abbiamo più che quadruplicato il valore: nel 2017, infatti, il mercato dell’agricoltura 4.0 era stimato in non più di 100 milioni di euro.
Start up che crescono bene, ma si può fare meglio
Le imprese innovative che sviluppano e propongono soluzioni digitali per il cibo sono in crescita a livello globale, tanto che ad oggi se ne contano oltre 730. Dal punto di vista degli ambiti d’azione, l’Italia è in linea con il resto del mondo. Primeggia nettamente il comparto dell’e-commerce, inteso sia come strumento di vendita diretta per accorciare la filiera sia come piattaforme che aggregano l’offerta, presenti soprattutto per ristoranti e servizi di consegna a domicilio di piatti pronti. La compravendita digitale è il focus del 70% delle start up.
Un ulteriore 20% afferisce, invece, alla vera e propria agricoltura 4.0 attraverso strumenti di analisi dati, tecnologie robotiche e algoritmi di intelligenza artificiale che entrano sempre più nel processo di coltivazione. In quota marginale, ma da non scordare, ci sono altri ambiti applicativi delle start up come la qualità alimentare (4%), la zootecnia (4%), la sostenibilità (2%), la tracciabilità (2%) e la logistica (1%).
Una nota negativa arriva, invece, dal punto di vista dell’attrattività degli investimenti. Se nel mondo nel 2019 sono stati raccolti fondi per oltre 13 miliardi di dollari, alle imprese innovative italiane sono arrivate solo le briciole, pari allo 0,3% del totale. Un dato che stride non poco rispetto alla già citata distribuzione di mercato, che riconosce al Belpaese il 5% del valore globale di settore.
Le tecnologie che piacciono
A fare notizia sui giornali al momento della pubblicazione del rapporto è stato anzitutto l’andamento delle tecnologie di tracciabilità basate sui registri blockchain, che in un solo anno hanno più che raddoppiato il proprio utilizzo, facendo segnare un +111%. In termini di penetrazione di mercato, la catena a blocchi è presente nel 43% delle soluzioni disponibili, seguita a ruota dai codici QR con il 41%, dalle applicazioni mobile al 36% e dai software di analisi dati al 34%. Ancora un gradino sotto si trovano invece la Internet delle cose (IoT), presente nel 30% dei casi, e i sistemi di archiviazione in cloud, fermi al 27%.
I messaggi da portare a casa dal rapporto sono almeno un paio. Il primo è che l’agrifood, ad oggi, è già il terzo settore in assoluto a beneficiare di tecnologie blockchain, preceduto ovviamente dalla finanza e poi dalla pubblica amministrazione. Il secondo è l’esigenza e il bisogno di mercato a cui la blockchain ambisce a dare risposta, ossia fornire tracciabilità digitale della filiera per garantire efficienza e sicurezza. Il settore dell’agrifood, inoltre, va inquadrato in una visione più panoramica, per avvicinarsi agli obiettivi di sostenibilità dell’agricoltura, sia in senso strettamente ambientale sia in senso etico-sociale. Tuttavia, il contrasto alla contraffazione (che spesso è pensato come la finalità principale di adozione della blockchain) riguarda solo il 7% dei casi. Dominano invece le iniziative con finalità commerciali e di marketing (60%), seguite dalla semplificazione della catena logistica (40%), dalla sostenibilità (21%) e dalla sicurezza alimentare (15%).
Dove spende il contadino digitale
Se si analizza nel dettaglio la distribuzione delle quote di mercato delle 415 soluzioni disponibili per l’agricoltura italiana, offerte da più di 160 attori fra aziende tradizionali e start up, si scopre che la coltivazione “in campo” domina ancora nettamente rispetto agli altri tipi di servizi digitali. Il 39% della spesa italiana si concentra infatti sui sistemi di monitoraggio e di controllo per mezzi e attrezzature, a cui si aggiunge un 20% per i software gestionali e un altro 14% per i macchinari connessi. A seguire ci sono i sistemi di controllo delle coltivazioni a distanza (10%), di mappatura dei terreni (9%) e di supporto alle decisioni strategiche (5%).
Una tendenza confermata anche dalle tipologie di servizio più richieste per i settori ortofrutticolo, cerealicolo e vitivinicolo, che nel 79% dei casi includono sistemi di supporto alla coltivazione, nel 41% alla semina e nel 36% alla raccolta. Pianificazione, magazzino e logistica paiono invece relegati in posizione subalterna, con percentuali marginali rispettivamente dell’11%, 4% e 4%.