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L’accelerazione digitale che ha interessato molti settori imprenditoriali e sociali nella prima metà del 2020 ha investito in pieno anche il mondo della salute. Accanto alle carenze strutturali rese evidenti e all’annoso ritardo del comparto sanitario ad adeguarsi alle novità tecnologiche, si è fatta largo una forte richiesta – sia da parte del personale sanitario sia dei pazienti – di adottare e di mantenere in uso le soluzioni digitali durante e dopo la pandemia. A parlare esplicitamente di “caduta delle barriere e dei pregiudizi sul digitale” è stato in particolare il Politecnico di Milano, che in un lungo e articolato rapporto pubblicato a giugno dalla School of Management tramite l’osservatorio Innovazione Digitale in Sanità ha raccolto trend, statistiche e bilanci riferiti agli ultimi mesi.
Le modalità di contatto medico-paziente
I dati del 2019 raccontavano di uno scarso utilizzo dei canali digitali per comunicare con i medici: appena un paziente su 5 scambiava mail, uno su 11 sms e uno su 7 messaggi su WhatsApp. L’impennata di questi servizi per l’anno in corso si accompagna ad una maggiore adozione da parte dei medici stessi. I medici di famiglia che usano regolarmente l’e-mail, in particolare, oggi sono il 91%, mentre appena qualche mese fa erano l’82%. Lo stesso vale per WhatsApp: 56% pre-pandemia, 66% nel post.
In controtendenza su queste modalità di comunicazione più quotidiane nel loro uso sono invece i medici specialisti (-3% WhatsApp, -14% sms e -16% e-mail), che però compensano con un netto incremento nell’uso delle piattaforme di videochiamata come Zoom e Skype (+33%). Ad oggi, quasi la metà dei medici specialisti e i due terzi di quelli di medicina generale utilizza e vorrebbe continuare a utilizzare questi sistemi. Secondo il sondaggio dell’Osservatorio, che ha coinvolto oltre 2mila medici, esiste una percentuale non trascurabile di contrari all’adozione di tecnologie digitali di comunicazione (tra il 30% e il 40%), ma i valori sono sostanzialmente dimezzati in pochi mesi, dato che un buon 40% ha iniziato solo di recente a usare questi strumenti e dichiara di non volerli più abbandonare. Insomma, in molti casi l’incontro con la tecnologia è stata una piacevole sorpresa.
Qualche considerazione a parte merita la telemedicina vera e propria, che riguarda strumenti e piattaforme dedicate all’ambito sanitario e con funzionalità specifiche. Secondo i medici di famiglia, il 30% delle visite potrebbe essere svolto a distanza senza inficiare il buon esito del consulto, mentre gli specialisti stimano un valore un po’ inferiore, intorno al 20%. Già altissime le richieste d’uso: è interessato ai teleconsulti l’88% dei medici (64% se si considerano invece gli specialisti), al telemonitoraggio il 74% (47% per gli specialisti), alla teleassistenza il 72% (vs 32%) e alla telecooperazione il 60% (vs 47%). Lato paziente, in un terzo dei casi c’è buona predisposizione verso le visite e i consulti a distanza, ma più della metà delle persone continua a preferire l’incontro di persona, soprattutto se non si tratta di controlli periodici.
L’hardware e il software della medicina connessa
Tutt’altro che a sorpresa, lo strumento principe per svolgere telemedicina è lo smartphone, che infatti fa parte del kit di lavoro per il 72% dei medici (lo possiede l’88%). Subito dopo c’è il computer portatile, a quota 61% (possesso: 73%), mentre il tablet si ferma al 47%. Ottima – in proporzione – è invece la penetrazione di altre tecnologie software come le connessioni Vpn (60%), i servizi di archiviazione in cloud (51%), la virtualizzazione del desktop (48%) e le applicazioni per videochiamate di gruppo (41%). In termini di proiezioni, si prevede un ulteriore incremento delle connessioni Vpn e del cloud, che dovrebbero presto superare quota 70% se ci si basa sulle dichiarazioni di intenti.
L’adozione di soluzioni di intelligenza artificiale vere e proprie, invece, resta ancora piuttosto bassa. Si parla in particolare del 9% dei medici, peraltro concentrati in un 6% di strutture sanitarie che hanno già iniziato a impiegarle. Ma pare essere solo questione di tempo: oltre la metà dei dottori, infatti, riconosce nell’intelligenza artificiale un valido supporto per il futuro della gestione delle strutture sanitarie, per la personalizzazione delle terapie, per ridurre la frequenza degli errori clinici e per gestire situazioni di emergenza. Come sempre, si tratta anche di una questione anzitutto culturale. Acquisire le competenze per usare queste tecnologie, lavorare a contatto con altri medici che siano già abituati all’intelligenza artificiale e collaborare con strutture che la adottino sistematicamente sono fattori che fanno la differenza.
Lo smart working sanitario
Anche nelle strutture ospedaliere e ambulatoriali la prima metà del 2020 è stata uno stress test per l’adozione di modalità di lavoro agili. Gli aspetti emersi come più delicati sono stati la disponibilità di strumenti digitali adeguati e di sistemi di cyber-sicurezza adatti al telelavoro: appena una piccola parte delle soluzioni pre-pandemia si è rivelata adatta al nuovo contesto, ma proprio per questo c’è stata in pochi mesi una rapidissima evoluzione. Inizialmente carente, è stata soprattutto la filiera dell’approvvigionamento dei dispositivi e dell’assistenza tecnica, tanto che il 47% dei medici ha lamentato una lentezza nel reperire i dispositivi e oltre il 40% ha riscontrato difficoltà nel garantire continuità operativa, nel trovare aiuto adeguato e tempestivo da parte del supporto tecnico e nel coordinare il lavoro di strutture cliniche diverse. Smart working e collaborazione tra strutture cliniche sono state le principali direttrici di intervento, peraltro con risultati soddisfacenti per il 51% e il 39% rispettivamente.
Ancor più del lavoro ospedaliero, con la pandemia è cambiato l’operare dei medici di medicina generale. Per il 93% il consulto telefonico è stata l’attività prevalente, l’86% ha dovuto riorganizzare il proprio studio e i propri orari, il 73% ha cambiato metodo per valutare clinicamente i propri pazienti e il 72% ha adottato strategie multicanale per restare più efficacemente in contatto con i propri assistiti. La metà dei medici, infine, ha a tutti gli effetti lavorato da remoto, e di questi i due terzi si sono detti soddisfatti sia in termini di interazione con i pazienti sia come efficacia degli interventi. Il rovescio della medaglia è una più difficile conciliazione tra vita lavorativa e privata, ma comunque il 40% dei medici di famiglia crede che l’esperienza maturata durante il lockdown manterrà i propri effetti positivi a lungo termine, dato che dal potenziamento degli strumenti hi-tech di lavoro e dalle nuove modalità di comunicazione con i pazienti non si torna più indietro.