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Recenti test dimostrano che l’orario ridotto migliora la salute mentale e fisica dei dipendenti, riduce l’inquinamento e per le aziende aumentano ricavi e produttività. A testare il nuovo regime sono alcune società in Europa. Mentre in Italia partono le prime sperimentazioni. Secondo molti esperti sarà il trend vincente del 2023
Le ultime statistiche dell’Ocse, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ci dicono che i Paesi dell’Europa occidentale dove si lavora più ore all’anno (Grecia, Italia, Spagna e Portogallo) hanno tra i tassi di produttività più bassi.
Ma sarà uno studio delle Università di Cambridge e di Oxford in collaborazione col Boston College a svelare, a febbraio, i risultati della sperimentazione introdotta in una settantina di aziende britanniche che riduce a 4 i giorni della settimana lavorativa. I primi dati del “4Day Week Global” sono già stati anticipati: maggior equilibrio tra vita professionale e vita privata; miglior salute fisica e mentale; ricavi superiori mediamente del 8%, riduzione di assenteismo e dimissioni.
Chi fa la settimana corta, secondo i ricercatori del Boston College, tende a utilizzare il terzo giorno libero per appuntamenti dal medico o altre commissioni personali che altrimenti dovrebbe stipare in una giornata lavorativa.
Un altro vantaggio, che potrà essere misurato nei prossimi anni, riguarda la diminuzione dell’inquinamento legato alla riduzione delle emissioni e del traffico cittadino.
Le uniche minacce che incombono sui progetti sono legate all’inflazione elevata e all’aumento delle bollette energetiche che frenano le aziende e spingono i lavoratori a conservare il proprio posto di lavoro così com’è. La Federazione autonoma bancari italiani ha rimarcato che settimana corta e smart working sono già previsti nel contratto nazionale.
Resta il fatto che la settimana di 4 giorni potrebbe essere l’inizio di un profondo cambiamento anche se è per ora inimmaginabile poterla applicare a tutti i settori. Il trasporto pubblico, la sanità e tutti coloro che hanno fatto dell’emergenza la propria professione sono impegnati normalmente su turni più lunghi. Occorrerebbe investire su un significativo aumento di personale con una conseguente insostenibilità dei costi. Almeno per ora.
Tra gli obiettivi, comunque, anche quello di concedere del tempo ai lavoratori da dedicare ai corsi di aggiornamento sull’uso delle nuove tecnologie, sperimentando al contempo l’intelligenza artificiale nelle mansioni più ripetitive.
La settimana corta in Italia: il primo esperimento a Milano nel 2020
In effetti, l’idea non è nuovissima. Carter & Benson, azienda internazionale di consulenza con sede a Milano, l’aveva già sperimentato nel 2020 con un taglio di 4 ore, a parità di stipendio. Se la prova avesse avuto esito positivo, nel 2021 i vertici aziendali avrebbero esteso a 8 ore la riduzione dell’orario settimanale. Così è stato e i dipendenti di Carter & Benson beneficiano a tutt’oggi di un giorno di libertà in più da dedicare alla propria vita privata senza alcuna decurtazione dello stipendio.
Intesa Sanpaolo ha proposto ai suoi 74mila dipendenti una soluzione che rappresenta l’evoluzione dello smart working con la possibilità di lavoro flessibile fino a 120 giorni all’anno. La sperimentazione è partita a gennaio 2023 su base volontaria e prevede 4 giorni lavorativi da 9 ore a parità di retribuzione.
La situazione in Europa e nel mondo
Stellar Asset Management, società londinese che fornisce servizi finanziari, ci ha creduto al punto di investire nella formazione di un gruppo di dipendenti a cui ha assegnato il compito di organizzare e gestire la settimana corta dei propri lavoratori.
Sono ottimistici anche i risultati misurati da Chartered Institute of Personnel and Development, associazione di professionisti della gestione delle risorse umane, sulla sperimentazione della settimana corta a Platten’s, catena britannica specializzata in Fish&Chips: aumento della produttività pari al 25% nei 4 giorni di lavoro; e +74% di fidelizzazione dei lavoratori stagionali, che vogliono tornare nell’azienda; aumento della partecipazione alla formazione volontaria, passata al 76 al 94%. Inoltre, il 43% dei dipendenti ha lavorato oltre l’orario contrattuale ma il 71% di questi ha aggiunto solo due ore.
È soprattutto in nord Europa che negli ultimi anni si stanno sperimentando i progetti più ambiziosi.
In Islanda, tra il 2015 e il 2019 sono state ridotte le ore lavorative nel settore pubblico, da 40 a 35 da spalmare su 4 giorni, senza alcun taglio di retribuzione. Il test ha riguardato una percentuale minima di dipendenti che superava di poco l’1% del totale, ma il risultato è stato così positivo da essere esteso al settore privato e oggi nel Paese l’86% della popolazione utilizza l’orario ridotto. In Lituania dal 2023 chi ha figli sotto i 3 anni ed è dipendente pubblico può scegliere la settimana corta, in Scozia l’anno scorso, il governo ha finanziato con 10 milioni di sterline le società che si sono incamminate nella stessa direzione. Il governo spagnolo nel 2022 ha finanziato 70 piccole e medie imprese: chi ha effettuato un taglio del 10% per almeno due anni, riceverà fino a 150 mila euro.
Il Belgio ha iniziato nel novembre scorso, un progetto di sei mesi leggermente diverso dal trend europeo: le aziende possono concedere la settimana corta senza tagli allo stipendio a fronte di un aumento dell’orario di lavoro. Imprese e i sindacati sono però scettici: il progetto avrebbero un riflesso negativo sulla vita privata dei dipendenti. Agli esordi anche il Portogallo, dove è in corso una sperimentazione nel settore privato, su base volontaria senza alcun sostegno dello Stato.
In Giappone, Microsoft ha sperimentato nel 2019 l’orario settimanale ridotto a 32 ore. I risultati sono stati strabilianti: +40% di produttività, -20% di emissioni di CO2.
A cura di Ofnetwork