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Andare oltre gli ad blocker

Smart Business

12 Giugno 2017

American Express

Esiste un modo per superare i blocchi anti-pubblicità…e non contempla esattamente una controffensiva.
Di KNOWLEDGE@WHARTON
La guerra che si consuma tra editori digitali e consumatori in nome degli ad blocker si è fatta più accanita, spingendo per la prima volta Apple a consentirne l’integrazione all’interno del browser Safari su iPhone e iPad. Secondo l’Ad Blocking Report 2015 pubblicato da PageFair e Adobe, negli ultimi 12 mesi l’uso di queste estensioni software, create per bloccare la comparsa di script pubblicitari, ha registrato un incremento del 41% a livello globale. Negli Stati Uniti il ricorso all’ad blocking è cresciuto del 48%, raggiungendo 45 milioni di utenti attivi. Sebbene i sistemi anti-pubblicità continuino ad essere prevalentemente installati su PC desktop, la mossa di Apple ha innescato l’ascesa del blocco via mobile. Lo scorso anno il costo di questa pratica per editori e brand finanziati da inserzioni pubblicitarie è stato stimato in una perdita di fatturato pari a 5,8 miliardi USD, cifra che si presume toccherà i 20,3 miliardi USD nel 2016.
Gli inserzionisti, però, invece di sviluppare nuove modalità per indurre gli internauti a visualizzare i propri annunci, dovrebbero crearne altri in grado di instillare nelle persone la voglia di vederli e condividerli. Stando all’opinione di Alexa de los Reyes, responsabile editoriale del “Wharton Future of Advertising Program” (WFoA) e del Professor Yoram (Jerry) Wind, docente di marketing presso la Wharton Business School e direttore accademico del programma, nonché co-autore con Catharine Findiesen Hays, direttore esecutivo del WFoA, del libro Beyond Advertising: Creating Value Through All Customer Touchpoints (“Oltre la pubblicità: creare valore attraverso tutti i punti di contatto del cliente”), di imminente pubblicazione, un annuncio pubblicitario che suscita interesse è pertinente e rispettoso, implementabile, diffonde e crea valore, regala un’esperienza straordinaria e offre una storia degna di essere condivisa.
Recentemente molti utenti che hanno tentato di accedere all’email di Yahoo si sono visti apparire il seguente messaggio: “Oh oh… Yahoo Mail non può essere visualizzata. Per continuare a usare Yahoo Mail si prega di disattivare l’ad blocker”. Chi ha prestato attenzione alla trasformazione delle relazioni tra brand, individui e società prodotta dall’era digitale non rimarrà sorpreso nel sapere che gli utenti hanno immediatamente espresso la loro indignazione attraverso i social media, dicendo più o meno civilmente addio a Yahoo a fronte di questa condizione.
Gli editori e i brand che si trovano a fare i conti con il calo dei ricavi pubblicitari e che stanno prendendo in considerazione strategie simili devono aprire gli occhi sulla realtà. Con il rapido progresso tecnologico, il successo dei social media e l’ampia scelta di mezzi di comunicazione, le persone dispongono di molti strumenti potenti per ricorrere contro l’adozione di metodi indesiderati, tra cui inserzioni pubblicitarie eccessive e invasive. Indipendentemente dal fatto che Yahoo e altri editori perseverino con questa politica di accesso, l’esperimento rivela un modello mentale della pubblicità sorpassato ma pervasivo, che occorre rimettere in discussione e cambiare.
“Il vecchio modello presuppone che l’unico modo per spingere gli internauti a prendere visione degli annunci pubblicitari si fondi sull’inganno e sulla costrizione, interrompendoli mentre sono intenti a fare altro.”
Oltre a Yahoo, NFL, The Atlantic, Hulu e molte altre aziende stanno sperimentando sistemi per limitare l’accesso agli utilizzatori di queste tipologie di software. Attualmente i lettori del Washington Post che sfruttano filtri anti-pubblicità si imbattono in una finestra pop-up riportante il seguente avviso: “Ci impegniamo a ospitare sul nostro sito inserzioni pubblicitarie sicure e a rispettare la Sua privacy. Per continuare a leggere La preghiamo di disattivare il Suo ad blocker.” Per tutta risposta, i forum online pullulano di codici per aggirare il problema e di istruzioni su come continuare a fruire dei contenuti desiderati (mondati dai fastidiosi messaggi promozionali).
Benché sia ancora prematuro prevedere i possibili effetti di questi vari esperimenti su lettori e abbonamenti, la soluzione suggerita in questa sede alle aziende è diversa: nessuna controffensiva. Meglio, invece, ascoltare i desideri delle persone e proporre loro un’offerta di valore.
Noi versus loro?
Il vecchio modello mentale della pubblicità presuppone che l’unico modo per spingere gli internauti a prendere visione degli annunci pubblicitari si fondi sull’inganno e sulla costrizione, interrompendoli mentre sono intenti a fare altro.
Tale approccio presenta due criticità fondamentali. Innanzitutto, la mentalità “noi versus loro” è un retaggio del passato. Per le imprese e le organizzazioni che mirano a coltivare utenti permanenti, impedire alle persone di migliorare la loro esperienza con un prodotto è un rapido sistema per ottenere in cambio la loro collera, non per conquistare la loro fedeltà.
Numerose aziende hanno tentato di apportare modifiche senza tenere conto delle preferenze dei propri clienti, pagandone in seguito i contraccolpi. Basti pensare a Netflix, che nel 2011 ha deciso di scindere i servizi per film e videogiochi in streaming dal noleggio DVD con spedizione per posta, imponendo agli utenti un rialzo dei prezzi del 60%, scelta che ha comportato la perdita di 800.000 abbonati, un crollo delle quotazioni del 77%, un piano vanificato per la costituzione di una società scorporata (Qwikster), un calo del 12% del livello di soddisfazione dei clienti e una perdita di fatturato dell’ordine di milioni.
Alla fine di questo secolo l’industria discografica offre un altro caso degno di esame, esemplificativo delle insidie connesse all’ignorare le preferenze dei consumatori.
Al posto di ascoltare i desideri del pubblico, ovvero reperire e acquistare soltanto i brani preferiti e non una selezione limitata di pacchetti costosi, sono occorsi molti anni (e miliardi di dollari di fatturato perduto) prima che il settore cambiasse il suo modello mentale, passando dalla vendita di CD alla vendita dell’accesso alla musica in forma di download pagati e abbonamenti (come Spotify e iTunes). Adire a vie legali contro i singoli appassionati di musica per aver scaricato illegalmente canzoni non ha certo risolto la crisi. Gli utenti di Napster non stavano cercando di affossare l’industria discografica: desideravano soltanto poter scegliere e accedere alla musica e agli artisti che non hanno alle spalle il sostegno delle etichette di produzione.
Gli annunci pubblicitari invasivi perdono visibilità
La crescita del fenomeno dell’ad blocking trasmette a editori e brand un ulteriore messaggio, chiaro e preciso: fermate la raffica dei banner pubblicitari invasivi o perderete i vostri clienti.
Fortunatamente, oggi più che mai le aziende possiedono la capacità di ascoltare e soddisfare le esigenze della propria clientela, requisito che comporta l’allineamento degli obiettivi per una soluzione vincente da tre punti di vista: brand, persone e società. L’attivazione dei meccanismi di ascolto e risposta agli utenti deve coinvolgere tutti i livelli aziendali e non, come spesso accade, un insieme chiuso e distinto di funzioni. Le imprese e le organizzazioni incentrate sul consumatore in grado di rispondere con agilità e trasparenza alla continua evoluzione delle esigenze e delle richieste sono proiettate nel futuro.
In passato fermamente contraria agli ad blocker, l’Interactive Advertising Bureau (IAB), la più importante associazione nel campo della pubblicità digitale a livello mondiale, ha recentemente preso atto del “pasticcio” combinato dagli inserzionisti online per aver trascurato l’esperienza o le preferenze degli internauti. In un post pubblicato sul sito web dell’associazione nell’ottobre 2015, Scott Cunningham, Senior Vice President of Technology & Ad Operations di IAB, rifletteva: “In qualità di esperti di tecnologia informatica, cui è affidato il compito di distribuire contenuti e servizi agli utenti, abbiamo perso di vista l’esperienza dell’utente … Ripensandoci ora, la nostra preoccupazione di racimolare centesimi potrebbe esserci costata dollari in termini di fedeltà dei consumatori”.
“Le pubblicità del futuro [dovranno essere] percepite come un ‘dono’, risultare ‘piacevoli e informative’, ‘utili’ e ‘foriere di significato’, nonché costituire ‘un aspetto invisibile, ispiratore e indispensabile delle esperienze legate all’utilizzo di prodotti e servizi’”.
Il pensiero espresso dall’IAB è riecheggiato nelle parole di un lettore che commentava l’Ad Blocking Report 2015 pubblicato da PageFair: “Se gli annunci pubblicitari non fossero così ridondanti, fastidiosi, difficili da distinguere dal contenuto, e non si trasformassero in vettori di infezioni attraverso ad server mal gestiti, forse non verrebbero bloccati così spesso. Le società pubblicitarie si sono rovinante con le proprie mani lasciando che in nome del profitto la situazione degenerasse a tal punto da spingere le persone a trovare un modo per aggirarla. Cosa che continueranno a fare, soprattutto laddove i banner promozionali si riveleranno percorsi di attacco per i virus”.
Un altro internauta si è premurato di scrivere le sue rimostranze in rete in un apposito forum: “Evidentemente [Yahoo] ritiene di poter sopravvivere vendendo spazi pubblicitari e ignorando i suoi abbonati, che permettono di attirare la pubblicità.”
La rivista online Slate rappresenta un editore che in materia di ad blocking ha adottato un approccio incentrato sull’utente. In un recente articolo apparso su NiemanLab, David Stern, Direttore dello Sviluppo Prodotti, ha affermato: “Stiamo migliorando il tempo di caricamento della pagina, eliminando i messaggi promozionali invasivi e lavorando per ridurre il numero dei messaggi promozionali. I restanti, però, dovranno generare un impatto maggiore. Il tipo di annunci pubblicitari che ricerchiamo non è quello desiderato dai lettori di periodici di moda – e il sottoscritto non è tra questi – bensì quello che, a detta delle persone, forma parte integrante dell’esperienza di fruizione del magazine”.
La pubblicità del futuro
Questo ci porta alla seconda criticità insita nel vecchio modello mentale della pubblicità, ovvero l’assunto che le inserzioni pubblicitarie siano indesiderate, irrispettose, insignificanti e vengano vissute come un patimento.
Si può certamente convenire sul fatto che questa teoria si riveli troppo spesso vera e che i banner promozionali risultino particolarmente irritanti quando pregiudicano la fruibilità di un prodotto, rallentando i tempi di caricamento delle pagine e bloccandone l’accesso con la comparsa di finestre di dialogo o di testi e immagini al passaggio del cursore. Ma non deve essere per forza così. Infatti, i dati raccolti dall’“Advertising 2020 Project”, progetto sviluppato nell’ambito del WFoA, dimostrano che gli annunci pubblicitari potrebbero e dovrebbero essere pertinenti e rispettosi, implementabili, diffondere e creare valore, regalare un’esperienza straordinaria e offrire una storia degna di essere condivisa. In sintesi dovrebbero soddisfare i criteri “R.A.V.E.S.”, acronimo formato dalle lettere iniziali delle parole inglesi che denotano le caratteristiche elencate.
Il gruppo di oltre 200 leader di pensiero provenienti da 22 Paesi e dai più svariati settori che collabora all’“Advertising 2020 Project” prevede che le pubblicità del futuro saranno percepite come un “dono”, risulteranno “piacevoli e informative”, “utili” e “foriere di significato”, e costituiranno “un aspetto invisibile, ispiratore e indispensabile delle esperienze legate all’utilizzo di prodotti e servizi”. Così come rende possibile l’ad blocking, la tecnologia di oggi è in grado di favorire il conseguimento di tutte le qualità sopra descritte.
In conclusione, qual è un uso migliore delle risorse? Una guerra contro le preferenze dei consumatori o un’interazione reciprocamente vantaggiosa?
 Creare annunci pubblicitari accattivanti
L’“Advertising 2020 Project”, promosso dalla Wharton Business School, esorta a coordinare la pubblicità basata sui criteri “R.A.V.E.S.” attraverso ogni punto di interazione tra un cliente e un brand, nonché a ottimizzarla in funzione dei destinatari, del contesto e della piattaforma di distribuzione specifici. Tale ridefinizione del concetto di “pubblicità” implica lo spingersi oltre il significato del termine e il superamento delle sue implicazioni negative.
Prendiamo in esame un caso esemplificativo. Nel pluripremiato video #likeagirl, realizzato nel 2014 dal marchio di prodotti per l’igiene femminile Always, ai partecipanti di entrambi i sessi, viene chiesto di svolgere alcune azioni, quali correre o picchiare, “come una ragazza”. Il risultato è l’adozione di un comportamento stereotipato, contraddistinto da debolezza e stupidità, come ad esempio agitare le mani mentre si corre. Quando, però, la stessa richiesta viene rivolta a delle bambine, queste non prendono in considerazione il cliché negativo, dimostrandosi forti e disinibite.
Il filmato cattura una verità umana di grande impatto emotivo: il gentil sesso può dare prova di forza ed è nostro dovere modificare la connotazione del significato attribuito all’espressione “come una ragazza”. Nel video l’azienda afferma di voler cambiare questa percezione, messaggio che viene avvalorato dal finanziamento ad opera della stessa di iniziative sull’educazione alla pubertà realizzate in tutto il mondo.
“Per guadagnare l’attenzione di persone sempre più consapevoli e selettive occorre ascoltare ciò che hanno da dire e proporre loro un’offerta di valore.”
Da giugno 2014 il video ha raggiunto oltre 60 milioni di visualizzazioni su YouTube e non per aver indotto con l’inganno le persone a guardarlo, ma per il suo significato e il suo valore intrinseco. Un’idea interessante, volta a fornire informazioni utili e importanti spunti di riflessione. Questo è il tipo di “pubblicità” che genera una soluzione vincente dai tre punti di vista ivi analizzati, senza dover ricorrere a finestre pop-up né invadere diffusamente lo schermo di qualcuno per essere visto, e che viene liberamente condiviso da milioni di persone.
Altri esempi di applicazione dei criteri “R.A.V.E.S.” comprendono esperienze offline che richiedono il consenso preventivo dei destinatari (“opt-in”), nonché prodotti finalizzati a risolvere problemi personali e sociali. È il caso dell’australiana Optus Network con il suo sistema di allerta squali in modalità wireless, dell’associazione DePaul nel Regno Unito che finanzia servizi per i giovani senzatetto e del gruppo IBM che impiega Watson, un sistema informatico dotato di intelligenza artificiale, per creare combinazioni di menù uniche per un furgoncino che serve cibo di strada nella città di Austin, Texas.
Le lezioni tratte dalla casistica di cui sopra valgono per tutte le imprese che mirano a guadagnare l’attenzione di persone sempre più consapevoli e selettive, ascoltando ciò che queste hanno da dire e proponendo loro un’offerta di valore. Il consiglio è sperimentare strategie diverse e scoprire cosa funziona. L’era digitale ha rivoluzionato le modalità di produzione, distribuzione e consumo dei contenuti. Se Yahoo e altri editori o brand desiderano che gli internauti acconsentano ad avvalersi dei loro servizi, dovranno spingersi oltre il concetto di “pubblicità”.
Riprodotto da Knowledge@Wharton, pubblicato presso la Wharton Business School della University of Pennsylvania.
 

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