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Una rivoluzione in corso. Trainata dall’e-mobility e dallo sviluppo dei sistemi per la guida autonoma. L’appuntamento per le imprese italiane della filiera automotive è alle porte: secondo la stima di AlixPartners, da qui al 2023 le ricadute sul Made in Italy valgono tra i 2 e i 3,5 miliardi. Parte anche da questo dato lo studio – “Bilancio a 4Ruote” – condotto da Cdp e Sace Sismet, in collaborazione con Anfia e Alix partners , su un campione di 50 top player, che è stato presentato a Milano, insieme a imprese del settore come Prima Sole, Lamborghini, Adler, STMicroelectronics.
La rilevazione fa emerge come le imprese della filiera arrivino da un momento positivo, trainato dalla crescita del mercato auto e dall’aumento dei volumi produttivi, seppure ora siano alle prese con una congiuntura più difficile e un mercato che nel 2018 ha invertito la marcia. In questi anni le imprese della filiera italiana hanno performato meglio – per fatturati e redditività – rispetto alla media del settore ma registrano condizioni peggiori sul fronte della patrimonializzazione – al 30% rispetto alla media del 46%, sebbene allineati con la media delle imprese europee – e dell’indebitamento, doppio rispetto a quello di imprese affini nel resto del mondo. Questi dunque i punti deboli della filiera italiana, accanto ad un dimensione delle imprese ancora troppo piccola.
Al settore guarda con rinnovato interesse Cassa depositi e prestiti, nel quadro del nuovo piano industriale annunciato dal nuovo ad Fabrizio Palermo, che punta ad avvicinare la società alle imprese manifatturiere italiane e alle Pmi con interventi di finanziamento a medio-lungo termine per l’innovazione o strumenti come basket bond regionali o minibond a sostegno della crescita. «La componentistica italiana ha saputo cambiare pelle negli anni – racconta Paolo Scudieri, patron di Adler e presidente dell’Anfia – trasformandosi da indotto del car maker nazionale a filiera dell’auto europea, con il 56% di esportazioni». In futuro, aggiunge, «le sfide tecnologiche si affiancano alle nuove normative ambientale e alla qualità della formazione, per creare nuove competenze e professionalità». Ben venga dunque un approccio di sistema «che possa aiutare le filiere italiane a sviluppare nuove specializzazioni e vere a disposizione – conclude Scudieri– strumenti utili a risolvere il nanismo delle imprese e rispondere al fabbisogno di finanziamenti».
E se è vero che la stragrande maggioranza degli investimenti per lo sviluppo della mobilità elettrica saranno localizzati in Francia e Germania, con una stima complessiva che si aggira sui 40 miliardi, è altrettanta vero che l’Italia potrà giocare la sua parte. Sconta un parziale ritardo nel posizionamento rispetto ai trend più innovativi, ma non parte da zero: «l’Italia detiene una posizione di leadership in materia di componenti elettroniche – è infatti il secondo Paese al mondo per saldo commerciale di conduttori elettrici per tensioni maggiori di 80 Volt – ed eccelle nella progettazione e nel design industriale delle apparecchiature di ricarica elettrica» sottolineano gli esperti che hanno lavorato allo studio.
In questo contesto, gioca a favore dell’Automotive italiano la buona propensione agli investimenti – l’automotive vale il 10% del fatturato della manifattura e il 14% degli investimenti fissi lordi, con una fische da 1,7 miliardi su ricerca e sviluppo, pari al 13,2% del dato nazionale e al 18,8% della spesa del manifatturiero – mentre rema contro il fattore dimensionale. Il 46% delle imprese rimane sotto la soglia dei 10 milioni di fatturato, oltre la metà inoltre conta un numero di addetti inferiore a 50. «Nel settore servono le giuste dimensioni per alimentare innovazione e competitività» spiega Maurizio Stirpe, azionista di Prima Sole e vice presidente di Confindustria. «Penso che l’industria manifatturiera dell’auto come il resto delle imprese manifatturiere italiane – aggiunge – abbiano la necessità di far fronte alle sfide del mercato attraverso un rafforzamento della patrimonializzazione, si dovrà crescere con l’apporto di capitale, facendo meno ricorso all’indebitamento bancario. Cdp, Sace e in genere gli investitori potanno dare un aiuto importante».