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Business travel e cerimonie olimpiche: quando lo show è nel viaggio

Business Travel

07 Maggio 2019

American Express

Un antico proverbio africano recita: «Ciò che non hai mai visto, lo trovi dove non sei mai stato». Simone Merico, Vice President e Managing Partner di Balich Worldwide Shows e di Worldwide Shows Corporation, holding specializzata nell’intrattenimento dal vivo e comunicazione, nonché primo player italiano nella creazione di grandi spettacoli ed eventi globali, sa bene quanto sia vero. La sua è una vita in viaggio, per lavoro e per piacere, dimensioni che per lui sono vicinissime, se non addirittura sovrapponibili. «Un lavoro come il mio lo fai solo se ti appassiona davvero» – assicura, mentre pensa già al suo prossimo volo: Lima, per i giochi Panamericani del prossimo 26 luglio. Un «soft landing» in cui agli impegni professionali affiancherà un tour del Perù con tutta la famiglia, nel più classico stile bleisure, tendenza sempre più diffusa anche tra le aziende, come evidenziato da American Express. Perché il business travel non è più, solo, questione d’affari.
 
 
Merico, la Balich Worldwide Shows ha firmato alcuni degli spettacoli dal vivo più importanti e seguiti di tutti i tempi e ora si prepara a organizzare le quattro Cerimonie dei Giochi Panamericani e Para Panamericani a Lima. Che ruolo assume il viaggio in un lavoro come il suo?
«Il viaggio è tutto. È ciò che ci ispira, che ci arricchisce, che ci fa uscire dalla zona di confort. Il nostro lavoro è interamente incentrato sulla creazione di emozioni e per emozionare popolazioni tanto diverse tra loro, dai sudamericani agli asiatici, bisogna conoscerne a fondo le culture. Solo il viaggio ti dà questa possibilità. Ovviamente, non un viaggio da turisti, ma da local, accompagnati da persone del posto. Persone che spesso prendiamo a lavorare con noi e che in alcuni casi restano nella squadra anche al termine dell’evento. Il loro punto di vista è fondamentale: ne studiamo i linguaggi, i gusti, i codici di comportamento, entriamo nelle loro vite in punta di piedi, con grande rispetto e umiltà. Prima di presentare la nostra proposta per la gara di Lima, ad esempio, abbiamo trascorso due mesi in Perù a diretto contatto con le persone del luogo, come scenografi, musicisti, artisti. Inoltre, creando team eterogenei, riusciamo a lasciare in ogni Paese la nostra expertise anche quando le luci dello show si spengono».
 
 
E a livello personale, cosa le resta dei Paesi che visita per lavoro?
«Moltissimo. Porterò per sempre nel cuore il Sud America e in particolare il Brasile. Aver contribuito alle cerimonie olimpiche di Rio de Janeiro è stata un’esperienza straordinaria, molto forte anche a livello umano. E altrettanto affascinante è lavorare con gli Emirati Arabi. Mi interessa moltissimo il loro approccio, la voglia di vincere le contraddizioni, di investire nel futuro e di provare a cambiare pelle. Riescono a stilare piani decennali, come se avessero già ben chiaro dove vogliono andare e cosa vogliono diventare “da grandi”. È una sensazione entusiasmante».
 
 
Anche lei, quindi, è un fan del bleisure, la tendenza che unisce il business travel al leisure travel?
«Assolutamente sì. Quando si viaggia così tanto per lavoro, in maniera spesso bulimica, la parte “leisure” diventa un’esigenza primaria, quasi come una piccola ricompensa dopo aver trascorso 12 ore in una riunione dall’altra parte del mondo. A luglio, ad esempio, dovendo andare a Lima per i giochi panamericani, ho progettato un viaggio con la mia famiglia alla scoperta di Perù e Colombia. Un tour che, senza il pretesto professionale, probabilmente non avrei fatto o almeno non in questo momento».
 
 


 
 
Oltre alla naturale curiosità generata dai viaggi, quali altri ingredienti sono indispensabili per diventare “i più bravi al mondo” a realizzare eventi del genere? 
«Sicuramente: passione, coraggio ed esperienza. Non abbiamo paura di misurarci con grandi sfide, come le Cerimonie Olimpiche, sappiamo gestire la competizione che a certi livelli è altissima, e abbiamo imparato a metterci in discussione, sempre. Con un plus: da italiani abbiamo un Dna intriso di arte e bellezza. Il nostro Paese è tutt’ora una straordinaria fucina di talenti, per questo, senza dubbio, il valore aggiunto della Balich Worldwide Shows sono le persone».
 
 
A proposito di talenti: lei è un ingegnere “adottato” dal mondo dello spettacolo. Come si sono incontrate queste due identità così diverse? 
«Per caso, come molto spesso accade. Ho studiato ingegneria più per volere della mia famiglia che per attitudine personale, così, quando un amico mi ha fatto conoscere il mondo del teatro, ho capito in fretta che quella sarebbe stata la mia strada. Ma attenzione: non per recitare: fin dal primo momento, sono stato affascinato dal dietro le quinte. E il resto, è storia».
 
 

 
 
Una storia puntellata da tanti successi – le cerimonie olimpiche di Torino 2006, Sochi 2014, Rio 2016, la creazione del format Intimissimi On Ice, l’Albero della Vita a Expo Milano 2015, per citarne solo alcuni – e da una importante new entry: Artainment. Numero zero: “Giudizio Universale”. Anche in questo caso aveva l’esigenza di andare oltre i confini del classico show?
«In un certo senso sì. Artainment è un nuovo modello di business entertainment che mette al centro l’arte. È nato perché volevamo confrontarci con un progetto più stabile, diverso da un’Olimpiade che può capitare una volta ogni 4 anni. E volevamo farlo puntando l’attenzione sull’Italia e sulla sua straordinaria ricchezza artistica, intercettando un pubblico più giovane e contemporaneo. Così è nato “Giudizio Universale. Michelangelo and the Secrets of the Sistine Chapel”, uno spettacolo immersivo stabile, con più repliche quotidiane, sul modello Broadway, che ha debuttato nel marzo 2018 all’Auditorium Conciliazione di Roma, con la consulenza scientifica dei Musei Vaticani, la nostra direzione artistica, il tema musicale di Sting e la partecipazione di Pierfrancesco Favino. Prossime fermate: Milano e Parigi».
 
 
Crede che in un’epoca in cui è sempre più difficile riuscire a farsi davvero sorprendere, possa essere questo il futuro dello showbusiness? 
«Io sono convinto che anche in un mondo completamente digitale, noi rimaniamo sempre esseri umani con una coscienza e delle emozioni. Con i nostri spettacoli, di qualunque genere essi siano, continueremo a toccare la pancia e il cuore delle persone. È la chiave emotiva che cambia il modo stupire ed essere stupiti. E non c’è memoria senza emozioni. Era vero ieri, ai tempi di Michelangelo, ed è vero oggi, negli anni dei robot».
 
 
 

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