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Ci fece sognare Audrey Hepburn con la sua “Colazione da Tiffany”. Sessant’anni più tardi, passeggiare per le strade di New York, Milano o Singapore e fermarsi per un brunch da un brand del fashion, è realtà. Accade al 347 di Rodeo Drive, Beverly Hills, dove ha da poco aperto le porte la Gucci Osteria da Massimo Bottura. Una location d’eccezione, da cui ammirare lo skyline della città degli angeli, in cui i sapori della tradizione culinaria italiana incontrano le materie prime californiane, rigorosamente bio e provenienti solo da mercati contadini locali. Per un’esperienza di lusso «prêt-à-manger», in cui i prezzi oscillano tra i 26 e i 55 dollari.
Ma quella di Gucci e Bottura non è che l’ultima conferma di un trend sempre più forte e apprezzato: la liaison tra cucina gourmet e case di moda. Tra i primi vi fu Armani che con Nobuyuki Matsuhisa, considerato uno dei miglior chef giapponesi al mondo, aprì i famosi Nobu, ristoranti diventati simbolo di raffinatezza, tanto nei piatti quanto nello stile. Sì, perché l’obiettivo primario di questo mashup tra F&F (fashion & food) è proprio ricreare uno stile di vita completo, che vada oltre gli abiti e oltre il cibo stesso.
I consumatori, del resto, sono sempre più alla ricerca di un’esperienza d’acquisto coinvolgente e memorabile. Secondo un rapporto del Boston Consulting Group, si spendono in tutto il mondo 522 miliardi di euro all’anno in quello che viene definito “lusso esperienziale”, cioè per soggiornare in alberghi di prima categoria, fare viaggi e mangiare in locali di alto livello. E se i consumatori chiedono, i brand rispondono. Il cibo diventa moda e la moda si fa sempre più vicina ai piaceri della tavola. Si pensi alle collezioni ispirate alla pizza o alla pasta (da Moschino a D&G) o ai tessuti nati – letteralmente – da ingredienti riciclati, come ananas, soia, bucce d’arancia, alghe, caffè e molto altro. A fare da trait d’union è lo stesso Dna dei due settori: alta qualità delle materie prime, cura maniacale per i dettagli, ricerca, sperimentazione, creatività e contaminazione tra culture diverse.
Così, ecco fiorire nuovi templi del gusto estetico e culinario: dal felice incontro tra Bulgari e lo chef 3 stelle Michelin Niko Romito, i cui locali hanno conquistato metropoli internazionali come Pechino, Shangai, Dubai, al Ralph’s di Ralph Lauren, l’american bistrot su Boulevard Saint Germain di Parigi, passando per il The Blue Box Café di New York, al quarto piano della sede principale di Tiffany sulla Fifth Avenue (per tutte le Audrey del mondo) o per Le Cafe V di Louis Vuitton a Osaka, in Giappone.
E ancora, in Italia, dove Milano è diventato il nuovo hub dei brand restaurant, da Trussardi alla Scala al Bistrot Glorious Cafè di Renzo Rosso, dal Just Cavalli al Ristorante Torre di Fondazione Prada. Un incontro che segna l’evolvere di tempi in cui vestire e mangiare sono diventati modi di esprimersi: entrambi guidati dalle tendenze, sono veicoli di racconto, collegando ogni cliente / avventore a un modo di essere, in cui ciò che conta è l’esperienza. Alle marche più iconiche si chiede, infatti, di dare una rappresentazione globale di ciò che si potrebbe diventare scegliendole. Senza dimenticare che, se coccolati da un buon caffè – o da un gin tonic, come accade per esempio nei gin bar in stile gentlemen’s club delle boutique di Hackett London – è molto più probabile che scatti l’acquisto. Anche per questo i caffè sono entrati da tempo nei negozi spingendo gli acquirenti a rimanere più a lungo, fino a trasformarsi in veri e propri locali e ristoranti indipendenti. Una formula che, c’è da scommettere, è destinata a conoscere molte altre stagioni di successo.