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Tempo di grandi evoluzioni per il copyright in Europa. In occasione della Giornata internazionale del diritto d’autore, vale la pena ricordare quali sono le trasformazioni in corso quando si parla di paternità artistica al tempo del web. È infatti ufficialmente iniziato l’iter per la riforma del diritto d’autore che impatterà in modo significativo sul rapporto tra gli editori e giganti del tech come Google e Facebook. La data storica da ricordare è lunedì 15 aprile quando il Consiglio dell’Unione europea ha approvato la discussa Direttiva copyright. L’Italia ha votato contro insieme a Svezia, Finlandia, Polonia, Olanda e Lussemburgo. Astenuti invece Slovenia, Estonia e Belgio. Si tratta di una riforma approvata dopo tre anni di intenso dibattito e che sancisce per la prima volta l’obbligo da parte di Google e affini di remunerare gli autori dei contenuti che circolano sulle loro piattaforme. Dagli articoli, ai post, fino alle fotografie e ai video. In breve, se finora le piattaforme web hanno guadagnato grazie alla circolazione dei contenuti prodotti da terzi, con l’approvazione della direttiva questo non sarà più possibile. Chi aggrega opere di terzi, come i video su Youtube o le notizie su Google News, dovrà ricompensare gli autori dando loro una quota dei proventi ottenuti. Google e le altre piattaforme dovranno così stipulare licenze per l’utilizzo dei contenuti.
Il dibattito
L’Europa aveva iniziato a lavorare a un aggiornamento delle regole sulla protezione del diritto d’autore già nel 2016: il testo precedente risaliva addirittura al 2001, quando Internet, e soprattutto le grandi piattaforme, non avevano ancora rivoluzionato le modalità di distribuzione e di accesso all’informazione in senso lato. Già la direttiva del 2016 aveva generato un acceso dibattito che ha spaccato e spacca tutt’ora l’opinione pubblica tra favorevoli e contrari. Oggi come allora i detrattori sostengono che la direttiva ha “messo un bavaglio” a internet e di fatto limitato la libertà di espressione. D’altro canto, gli editori rivendicano il diritto di monetizzare il loro lavoro senza dover rinunciare alla diffusione online. Ma non è solo un problema di difesa della proprietà intellettuale è anche una questione di business. Google e Facebook si spartiscono gran parte del mercato della pubblicità online che in Europa vale 48 miliardi di euro all’anno secondo i dati dello Iab Europe.
I prossimi step e i nodi
Posto che sono in gioco interessi ed equilibri importanti, restano ancora dei nodi da sciogliere, aspetti che andranno chiariti nella seconda fase della riforma. Gli stati membri dell’Ue hanno infatti due anni per recepire la direttiva nelle loro legislazioni nazionali. Le criticità sono diverse e riguardano in particolare le zone grigie. Ad esempio, l’articolo 15 rende le piattaforme responsabili di quanto viene caricato senza richiedere però un monitoraggio preventivo. Nel testo si legge solo che gli aggregatori devono dimostrare di aver compiuto «i massimi sforzi» per scongiurare ulteriori caricamenti e devono agire «tempestivamente» per rimuovere il materiale illecito o privo di licenza. Una zona grigia che potrebbe portare secondo i sostenitori della direttiva le grandi piattaforme a non intervenire sui contenuti in alcun modo. Ad ogni Stato membro dell’Unione Europea quindi il compito di trovare il giusto compromesso, Italia compresa.