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Cartolarizzare le proprie eccedenze stoccate in magazzino, ossia emettere crediti trasferibili sull’invenduto per ottenere immediata liquidità, è una tecnica finanziaria che ha avuto origine nel XVII secolo, con un’impennata negli ultimi decenni e un’ulteriore crescita esponenziale a cavallo tra il primo e il secondo trimestre del 2020.
Al di là delle fluttuazioni di mercato e dello storico ingresso del digitale in questo filone della finanza, la vera novità di settore è l’uso di tecnologie d’avanguardia per modificare la struttura, il funzionamento e i modelli di business dei servizi di cartolarizzazione, noti a livello internazionale come inventory monetization. Il sistema decentralizzato della blockchain e l’opportunità di siglare contratti intelligenti (smart contract) anonimizzati e inviolabili è alla base di un’inedita offerta di servizi, capaci di gestire in modo automatico complessi flussi di compravendite e transazioni.
I dettagli del cambio di paradigma
La reinvenzione in chiave hi-tech della cartolarizzazione non è un banale trasferimento in digitale di ciò che già si faceva, ma segna una totale riorganizzazione della filiera finanziaria. Il contatto e le contrattazioni tra i diversi stakeholder – le aziende con eccedenze di magazzino, le banche, gli investitori privati, le assicurazioni… – avvengono attraverso il modello della catena a blocchi, in cui il registro con lo storico delle transazioni non è centralizzato ma distribuito in tante copie fra loro identiche, che ne garantiscono la sicurezza e l’inviolabilità. In questo modo, possono essere coinvolte nel processo aziende che fanno parte di settori industriali completamente diversi.
Altra novità è che la proprietà di ciò che è stoccato nei magazzini resta dell’azienda stessa, e complessivamente la provvigione prelevata dal sistema è inferiore al 10%, suddivisa tra gli interessi per gli investitori e la percentuale che resta come margine di profitto per chi offre il servizio. Il modello, secondo la risposta del mercato, risulta appetibile soprattutto per aziende di medie dimensioni e con fatturati prossimi ai 50 milioni di euro, ma con una buona variabilità sia in termini quantitativi di giro d’affari sia di settore, spaziando dal cibo alla metallurgia. Le cartolarizzazioni che vengono create, corrispondenti all’emissione delle cosiddette securitisation note, sono mega pacchetti che valgono anche centinaia di milioni di euro, collocati sul mercato da operatori specializzati e appetibili pure ai grandi gruppi di investimento.
Il caso di studio italiano
Ad aver fatto notizia nell’ambito della inventory monetization e l’impresa fintech torinese Supply@ME Capital, che si basa sul modello appena descritto e che grazie al proprio servizio innovativo lo scorso marzo è stata quotata sul principale listino della borsa britannica, il London Stock Exchange. Ideata e fondata da Alessandro Zamboni, l’impresa dopo pochi mesi dal lancio aveva già chiuso contratti per oltre 900 milioni di euro di valore, e si è collocata sul mercato con una capitalizzazione iniziale di 227 milioni di sterline.
Dal punto di vista dell’infrastruttura tecnologica, Supply@ME si appoggia a SIAchain, un’architettura blockchain composta di 570 nodi di rete e 186mila chilometri di collegamenti in fibra ottica che coprono tutto il Vecchio Continente, garantendo l’efficienza, l’affidabilità e la sicurezza della blockchain su cui tutto il sistema poggia. Non va scordato, infatti, che l’inventory monetization ad alto contenuto tecnologico si fonda proprio sulla bassa latenza nelle comunicazioni, sulla sincronia tra i registri distribuiti in cui sono memorizzate le transazioni e dunque sulla robustezza dell’infrastruttura di rete.
A livello numerico, Supply@ME si è posta l’obiettivo di raggiungere i 3,5 miliardi di euro di flussi d’affari l’anno entro il 2023, mentre per il 2020 l’obiettivo minimo è di un miliardo di euro in cartolarizzazioni, suddiviso in 4 blocchi da 250 milioni ciascuno.