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Lo chiamano «VUCA» ossia Volatile, Uncertain, Complex e Ambiguos: è lo scenario nel quale ci stiamo muovendo e riguarda il destino delle singole persone come delle economie e, quindi, delle aziende, che vi competono. Un orizzonte nuovo, che non consente appigli o coordinate già sperimentate e conosciute. In questo contesto, viene da chiedersi: chi è al comando, alla guida di uno sviluppo così confuso e imprevedibile? Se un ruolo fondamentale è quello, come sempre, della politica e delle istituzioni sovranazionali, l’altro non meno importante è quello che vede protagoniste della crescita economica, tra gli altri, non solo le grandi corporation, ma anche le piccole e medie imprese che da sole rappresentano circa il 98% dell’asset produttivo italiano E, alla fine, si parla ancora una volta di manager e imprenditori. La Lombardia, con il 50% delle PMI quotate (mercato AIM) e oltre 960.000 imprese attive, continua a svolgere un ruolo trainante nel Paese. Quale migliore osservatorio, allora, per guardare agli scenari «VUCA» che la principale associazione lombarda di manager industriali, ALDAI-Federmanager, che raccoglie circa 15.000 iscritti.
Presidente Villani, partiamo dalla Lombardia che lei conosce bene. Come vede i fattori discontinuità e instabilità che interessano tutte le aziende del territorio?
Siamo, in effetti, in presenza di un mercato che fatica a crescere e quest’anno abbiamo assistito per la prima volta dal 2013 a un calo della produzione industriale lombarda secondo i dati del secondo trimestre 2019. Un mercato attraversato da una profonda trasformazione industriale che, grazie anche a Industria 4.0, sta rivoluzionando il modo di creare beni e servizi, portando con sé una nuova concezione del lavoro e della produzione. Non a caso, infatti, le tecnologie digitali sono, se bene usate, una delle armi di cambiamento più formidabili, capaci di liberare le forze necessarie allo sviluppo: l’ultimo Global Survey sul tema Data e Analytics di McKinsey evidenzia che i leader nell’uso di queste tecnologie ottengono un contributo di almeno il 20% sul loro EBIT degli ultimi 3 anni.
Le aziende, in questo contesto, sono inevitabilmente chiamate a una sfida per non soccombere all’ondata del cambiamento. In che modo?
Per vincerla è necessario non solo dare impulso all’imprenditorialità aziendale e a nuovi modelli di leadership, ma anche generare una nuova cultura di impresa basata sulla managerialità. Certo, a dirsi è facile, ma io credo sia possibile farlo se si accetta di cambiare i comportamenti. Dobbiamo chiederci: quali sono quelli che generano una nuova cultura? Non basta solo parlare e fare dichiarazioni di intenti. Dobbiamo imparare a convivere con l’incertezza, il secondo termine dell’acronimo. Flessibilità e obiettivi a breve termine sono i driver principali in un contesto così delineato e questo rende necessario abbattere la rigidità dei processi, anche a causa di una mancanza di prevedibilità degli eventi. Il futuro, nel mondo VUCA, non è più una proiezione del passato e pertanto la definizione della strategia aziendale è proiettata su orizzonti sempre più brevi.
E come si fa fronte al terzo fattore, la complessità?
Si rende necessaria oggi una collaborazione a tutti i livelli, un approccio collettivo che sia costruttivo e non soltanto competitivo. Io ho lanciato lo slogan, all’Assemblea Annuale di ALDAI-Federmanager lo scorso giugno di una «intelligenza collettiva». Serve un nuovo sforzo di visione e di pensiero comuni da parte di tutti gli attori in gioco: aziende, istituzioni, politica, associazioni, università, centri di ricerca etc… La sfida non può essere vinta operando ciascuno individualmente. Il tutto è maggiore della somma delle parti, ciascuno deve e può dare il suo contributo, a partire da noi manager, da sempre in prima linea.
Alla fine, però rimane la sensazione di una dinamica di sviluppo del mercato e del business che ci sfugge. Ritorniamo alla domanda iniziale: chi guida veramente il mondo in una fase di simili cambiamenti?
Oggi esiste certamente un’ambiguità che si gioca su due fronti: una realtà sempre più incerta, nella quale i messaggi del mercato sono spesso indecifrabili, dall’altra l’incapacità di creare modelli in grado di anticipare eventuali minacce, prima che sia troppo tardi. Alla luce di tutto questo i manager oggi non solo devono mettere in conto una buona percentuale di incertezza nelle scelte, ma devono dimostrare anche una propensione al rischio e la capacità di trarre beneficio dai fallimenti, così da convivere con l’ambiguità e volgerla, dove possibile, a proprio favore. In un mare in tempesta il capitano sa bene che è fondamentale è “tenere la rotta”.
Torniamo ai manager: quali capacità dovranno avere in un mondo «VUCA»?
Insieme alle sempre più richieste capacità “soft” per stare al passo con la marcia trionfale di scienza, tecnologia, sviluppo organizzativo, oggi l’esperienza che abbiamo e che è confermata dal confronto con i competitor esteri ci dice che il mercato richiederà a noi manager competenze sempre più qualificate e complesse. Le nostre tecnologie si sono sviluppate più velocemente della nostra capacità, come società, di capirle. Adesso dobbiamo rimetterci in pari. Però, attenzione: la tecnologia può contribuire al cambiamento, ma poi serve, come dicevo prima, uno sforzo complessivo e collettivo, che metta fattor comune le competenze di tutti. Ed è necessario farlo all’interno di un disegno strategico di innovazione che abbia alla sua base una visione di sistema. Per passare dalle parole ai fatti, dalle promesse alla realizzazione concreta del cambiamento che vogliamo vedere.