Approfondimenti e spunti per far crescere il tuo business.
Una ricerca sulla fiscalità nel mondo delle criptovalute, pubblicata dalla società di consulenza PwC, ha messo in luce come l’Italia sia avanti sulle regole legate agli asset virtuali anche se ricordiamo che per la Banca d’Italia non sono da ricomprendere nell’ambito delle valute con quello che ne consegue anche ai fini del trattamento fiscale.
La Banca d’Italia ha infatti rimesso allo Iasb (organismo responsabile dell’emanazione dei principi contabili internazionali) la regolamentazione delle monete virtuali, mentre l’Agenzia delle Entrate in una risoluzione del 2016 ha considerato lo scambio di criptovalute un’operazione esente Iva, soggetta però a tassazione Ires e Irap.
Tornando all’antiriciclaggio, e al nuovo lavoro della Gafi, la struttura dell’Ocse evidenzia nel documento che: “Gli asset virtuali e i servizi correlati hanno il potenziale per stimolare l’innovazione e l’efficienza finanziaria, ma le loro peculiarità rappresentano anche nuove opportunità per riciclatori di denaro, finanziatori del terrorismo e altre forme di criminalità per riciclare i loro proventi o finanziare le loro attività illecite. La capacità di effettuare transazioni transfrontaliere in modo rapido non solo consente ai criminali di acquisire, spostare e archiviare digitalmente le risorse, spesso al di fuori del sistema finanziario regolamentato, ma anche di offuscare l’origine o la destinazione dei fondi e rendere più difficile per le entità segnalanti identificare attività sospette in un modo tempestivo. Questi fattori aggiungono ostacoli all’individuazione e all’indagine di attività criminali da parte delle autorità nazionali”.
Da questa considerazione arriva la necessità di trovare mezzi di difesa nell’individuare sei fattori di rischio, frutto, specifica la Gafi, di una analisi di oltre 100 schemi, inviati dai paesi dell’organizzazione. Inoltre, l’avvertenza è di valutare anche gli altri indici di rischio utilizzati nel contrasto del riciclaggio per le valute anche per le cripto. Le entità segnalanti dovrebbero quindi considerare i rischi posti dai loro clienti, prodotti e operazioni, nonché la presenza di indicatori di rischio convenzionali.
L’alert sui modelli di transazione
Il primo indice prende in esame schemi di transazione irregolari, insoliti e non comuni. Ad esempio, effettuare un deposito iniziale di grandi dimensioni per aprire un nuovo rapporto con un provider di criptovalute, mentre l’importo finanziato non è coerente con il profilo del cliente. Si evidenzia poi la situazione di un rapporto apri e chiudi: finanziare massicciamente il deposito il primo giorno che viene aperto e ritirare l’importo il giorno successivo.
C’è poi l’esempio relativo ai modelli di transazione con molteplici utenti, ad esempio transazioni con il metodo delle criptovalute senza un’apparente logica di business. Un altro caso è quello di transazioni di piccolo ammontare che arrivano su un portafoglio e da quest’ultimo ripartono su un altro portafoglio per poi essere oggetto di cambio in valute correnti.
L’alert sull’anonimato
Sebbene sia uno degli indicatori che potrebbe far generare il sospetto, per la facilità con cui l’utilizzo dell’anonimato può essere associato ad attività illegali, gli esperti della Gafi specificano che la semplice presenza di queste caratteristiche non deve far scattare l’automatismo di una transazione illecita. Ad esempio, l’uso di un portafoglio hardware o cartaceo può essere legittimo come mezzo per proteggere gli asset virtuali dai furti. Anche in questo caso, la presenza di questi indicatori dovrebbe essere considerata nel contesto di altre caratteristiche del cliente e della relazione o una spiegazione logica dell’attività. Occhio però ai siti di scambio file peer-to-peer e alle attività collegate a queste piattaforme con gli scambi di moneta virtuale.
Attenzione anche a utenti che accedono alle piattaforme con file di dark room o programmi che consentono comunicazioni anonime con crittografia protetta.
L’alert sui mittenti/destinatari
In questo caso ci sono una serie di indicatori sui comportamenti anomali dei soggetti coinvolti. Ad esempio, irregolarità osservate durante la creazione dell’account, creazione di account separati con nomi diversi per aggirare le restrizioni sui limiti di negoziazione o prelievo imposti.
Possono esserci poi le situazioni di soggetti che non hanno dimestichezza con la tecnologia delle monete virtuali. In questo caso, il documento pone l’accento sull’ipotesi che si tratti di “spalloni virtuali” reclutati per attività illecite di riciclaggio, o di vittime inconsapevoli di truffe indotti a trasferire i fondi senza conoscerne l’origine.
L’alert sulla fonte dei fondi e delle liquidità
L’uso improprio delle criptovalute spesso si appoggia a fondi provenienti da attività illecite, come il traffico illecito di sostanze illegali, frode, furto ed estorsione.
L’uso di una o più carte di credito e/o di debito collegate a un portafoglio di valute virtuali per prelevare grandi quantità di valuta (crypto-to-plastic) o fondi per l’acquisto di criptovalute che provengono da depositi in contanti su carte di credito.
C’è poi l’aspetto della mancanza di trasparenza o informazioni insufficienti sull’origine e sui proprietari dei fondi, come quelli che comportano l’utilizzo di società di comodo di tali fondi.
L’alert rischi geografici
In questa categoria rientrano tutta una serie di indicatori che sottolineano come i criminali, quando spostano i loro illeciti fondi, approfittano di destinazioni verso paesi o giurisdizioni che non hanno adottato o sono carenti sugli standard normativi in tema di trasparenza. O situazioni giuridiche che risultano lacunose sul fronte delle disposizioni in tema di antiriciclaggio.