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L’e-CNY, lo yuan virtuale, viene già sperimentato in diverse province cinesi. Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha firmato un decreto per l’avvio del progetto sul dollaro digitale. Anche l’Unione Europea, che ha gettato le basi per regolare le criptovalute anziché bandirle, pensa a una nuova dimensione dell’euro, ma la strada è ancora lunga. Ecco cosa sono le Central Bank Digital Currency e quali benefici porteranno
Da quando nel 2009 un gruppo di hacker noto con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto (o almeno così ipotizza la leggenda più accreditata, che è stata alimentata nel corso degli anni) ha lanciato la prima valuta virtuale, il Bitcoin, le criptomonete sono sempre state al centro delle notizie di cronaca. Da un lato, sicuramente a causa delle continue oscillazioni delle loro quotazioni, che le hanno portate a diventare ben presto lo strumento privilegiato da parte degli investitori più spregiudicati e interessati alla speculazione. Dall’altro, perché il processo che sta alla base della loro creazione consente trasferimenti di ingenti somme di denaro in modo anonimo. Una caratteristica che ha alimentato molto spesso il mercato nero del dark web, rendendole di fatto la valuta privilegiata per tutta una serie di operazioni criminali. Nonostante l’argomento sia sempre stato controverso (tanto che ad oggi manca ancora, di fatto, una regolamentazione effettiva), il loro potenziale non è passato inosservato nemmeno alle grandi istituzioni finanziarie, che non a caso hanno iniziato a discutere della possibilità di introdurre una valuta ufficiale completamente digitale.
Le CBDC
In gergo tecnico questi nuovi strumenti si chiamano CBDC, acronimo di Central Bank Digital Currency, e sono di fatto criptomonete di Stato, perché emesse, appunto, dalle banche centrali di vari paesi del mondo. Funzionano come le tradizionali Bitcoin & Co, con un’importante differenza: sono la versione virtuale di una moneta in corso legale, non gestite quindi da società private. E sono sempre più gli Stati che stanno pensando di entrare nel mercato, con l’obiettivo di competere da un lato con le monete private e dall’altro con le big tech finanziarie.
Non a caso la Cina, che ha già avviato la sperimentazione del suo e-Yuan digitale, ha anche deciso di sconfiggere la concorrenza ponendo un ban su tutte le criptomonete non ufficiali, a cominciare dal Bitcoin. Il lancio ufficiale avrebbe dovuto coincidere con le Olimpiadi invernali di Pechino, con l’obiettivo dichiarato di estendere il possibile utilizzo di questa nuova valuta anche oltre i confini cinesi. Ma la pandemia, e la necessità di contenere il contagio, hanno imposto che la manifestazione sportiva si disputasse a porte chiuse, limitandone enormemente la sua diffusione. Ciò nonostante, il governo cinese, il primo al mondo ad avere raggiunto una sperimentazione così avanzata in questo ambito, sostiene che sono già oltre 260 milioni i conti digitali aperti, con una significativa crescita soprattutto per quanto riguarda i pagamenti crossborder. L’e-CNY, com’è stato ribattezzato, infatti, ha il pregio di consentire una circolazione libera della valuta nei movimenti trasfrontalieri, nonostante la non convertibilità.
L’esempio della Cina ha spinto anche le altre più importanti economie del mondo sulla stessa strada. Dagli Stati Uniti, per esempio, è da poco arrivato un ordine esecutivo firmato dal Presidente Joe Biden che apre di fatto a una fase di studio su rischi e benefici delle monete virtuali. Ancora è presto per dire se il dollaro digitale vedrà la luce. Quel che è certo è che il ministro del tesoro Janet Yellen ha più volte espresso la sua preoccupazione a riguardo. In ogni caso dagli Stati Uniti è stata confermata l’apertura anche al mercato delle altre monete digitali private, e le recenti dichiarazioni non lasciano prevedere un possibile ban così com’è accaduto invece in Cina.
In Europa, invece, la strada verso l’introduzione di un euro digitale sembra essere a uno stadio più avanzato. La Commissione Europea, infatti, ha di recente pubblicato una consultazione aperta proprio relativa all’impatto di un’eventuale introduzione del criptoconio. L’obiettivo è quello di raccogliere informazioni in merito a “bisogni e aspettative degli utilizzatori sull’euro digitale e su come renderlo disponibile per il commercio al dettaglio”. A gennaio, la stessa Presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde aveva assicurato che la valuta sarebbe stata pronta per il 2023. E, intanto, la commissione affari economici del Parlamento Europeo ha da poco respinto una proposta che avrebbe vietato il protocollo PoW, che sta alla base del funzionamento dei Bitcoin e di tutte le altre valute. L’accusa? Le cripto sono eccessivamente “energivore”, e dunque poco ecosostenibili.
Le altre sperimentazioni
Oltre alla BCE, sono oltre 80 le banche centrali nel mondo che stanno valutando la possibilità di introdurre una criptomoneta di stato. Alcuni, come Cina, Corea del Sud e Nigeria, per esempio, sono già arrivati alla fase pilota, altri invece stanno iniziando a lavorarci. Il panorama è molto variegato, ma ad inizio anno, un’analisi condotta dalla società di consulenza Pwc mostrava che circa l’88% delle banche centrali abbia scelto di procedere con la sperimentazione utilizzando come infrastruttura tecnologica una derivazione della blockchain.
La Banca Centrale del Canada, la Federal Reserve Bank di Boston e la Banca d’Inghilterra, per esempio, hanno collaborato con il Massachusetts Institute of Technology (MIT) per un progetto di ricerca sulle valute digitali.
La banca centrale svedese ha da poco esteso per un altro anno il contratto con Accenture, fornitore ufficiale per il suo progetto sperimentale di CBDC. Mentre in Brasile, si è ancora alla fase preliminare con l’obiettivo di far partire il progetto pilota nel corso del 2022.
A cura di OFNetwork