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Crollano gli investimenti cinesi in Europa e negli Stati Uniti

Finanza e Pagamenti

19 Febbraio 2020

American Express

Gli investimenti cinesi in Europa hanno subito una nuova forte contrazione nel 2019, con un calo del 40%, a 13,4 miliardi di dollari: un sesto rispetto al picco di 80 miliardi registrato nel 2017. Meno brusca la flessione degli investimenti cinesi negli Stati Uniti, scesi dell’8% lo scorso anno, ma con volumi molto più bassi, appena 4,5 miliardi. Il crollo, in questo caso, si era già consumato negli anni passati. Nel 2016, gli investimenti cinesi negli Usa erano al massimo storico di 46,2 miliardi di dollari: tre anni dopo sono diventati un decimo.
 
 
È la fotografia scattata dall’analisi di Baker McKenzie in collaborazione con Rhodium Group. Nel complesso, le operazioni di merger & acquisition all’estero, annunciate nel 2019 da gruppi cinesi, si sono fermate a 57 miliardi di dollari, in calo del 29% rispetto al 2018 e ai minimi da sei anni.
 
 
Il calo è dovuto a una serie di fattori. Uno di questi, spiega Marco Marazzi, capo del China Desk di Baker McKenzie, «è la guerra commerciale, che ha influenzato anche gli investimenti». Pesano poi le restrizioni varate da Pechino, «che ha messo in campo misure per ridurre l’uscita di capitali dal Paese», come pure la stretta sugli investimenti in ingresso decisa dalle autorità statunitensi ed europee. A tutto questo, si è sommata la frenata dell’economia cinese e la sua ridotta liquidità.
 
 
La guerra dei dazi
 
 
Con l’inasprirsi delle tensioni tra Washington e Pechino su commercio e tecnologie, l’agenzia statunitense che vigila sugli investimenti esteri (Committee of Foreign Investment – Cfius) si è fatta ancora più vigile e i suoi poteri sono stati rafforzati. Lo scorso anno, sottolinea il report di Baker McKenzie-Rhodium Group, Cfius ha imposto una serie di disinvestimenti, con la vendita forzata di asset precedentemente acquisiti da gruppi cinesi. Attualmente, l’agenzia ha acceso i fari sulla proprietà cinese dell’app TikTok, un’operazione chiusa oltre due anni fa. «Questo irrigidimento si è visto anche in Europa, soprattutto in Germania, spingendo i gruppi cinesi a ritardare le decisioni di investimento», afferma Marazzi.
 
 
I “bersagli” in Europa
 
 
Tra i Paesi europei, le principali destinazioni degli investimenti cinesi sono state Finlandia (con l’acquisizione di Amer Sports da parte di Anta per 5,2 miliardi), Regno Unito (con i 2,2 miliardi di dollari aggiuntivi investiti da Shagang in Global Switch) e Svezia (dove Evergrande ha rilevato il 51% di Nevs per 930 milioni).
 
 
Gli investimenti cinesi in Francia, sono invece caduti sotto i 100 milioni nel 2019, da 1,8 miliardi del 2018. Quelli in Germania, dove il livello di allerta si è alzato, sono scesi a 700 milioni, da 2,5 miliardi del 2018. Il dato, avvisa però il report, non tiene conto dell’acquisizione del 5% di Daimler da parte di Baic per 3 miliardi (operazioni sotto il 10% del capitale non vengono considerate investimenti diretti). In Italia si è registrato un calo del 14%, con operazioni per 680 milioni, in linea però con il trend di lungo periodo.
 
 
Ferme le società di Stato
 
 
In ritirata le aziende di Stato cinesi, sulle quali si concentrano le critiche degli Stati Uniti e non solo. In Europa, la quota di investimenti riconducibili ai conglomerati pubblici è scesa ai minimi da 19 anni, all’11% del totale. Era salita fino all’86% del 2017. Le autorità nazionali sono diventate più vigili sulle acquisizioni tentate da questi grandi gruppi: il caso più eclatante del 2019 è stato il fallimento dell’offerta da 10,3 miliardi di dollari, messi sul tavolo dalla China Three Gorges Corporation per rilevare Energias de Portugal (di cui è il maggior azionista).
 
 
Le previsioni
 
 
Le prospettive per il 2020 partono dai 10 miliardi di dollari di operazioni annunciate in Europa e Nord America dalle aziende cinesi. Su questo debole segnale, si innestano però, alcuni fattori che possono preludere a un rimbalzo. «Dopo aver messo un freno agli investimenti speculativi, a volte in settori non strategici, e alla sovraesposizione di alcuni grandi gruppi, ora Pechino sta di nuovo allargando le maglie», spiega ancora Marazzi. Che aggiunge: «I rapporti con l’Europa dovrebbero migliorare grazie alle recenti aperture economiche decise da Pechino». Un peso potrebbe averlo anche la tregua nella guerra dei dazi che dovrebbe essere siglata tra Usa e Cina il 15 gennaio.
 
 
In contrasto con l’andamento degli investimenti in uscita, quelli in entrata hanno registrato una crescita del 30% in due anni, a quota 43 miliardi di dollari nel 2019.

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