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Sono finiti i tempi in cui il responsabile finanziario di un’azienda si occupava solo di numeri. Oggi, il Chief Financial Officer è un vero e proprio business partner. Siede nel board, prende decisioni strategiche, si interfaccia con tutte (o quasi) le aree aziendali. In pratica, è co-responsabile del futuro di un’impresa. Già, ma cosa ne pensano del futuro i CFO d’Europa? Amex l’ha chiesto a 280 senior finance executives e le risposte ricevute sono state sorprendentemente ottimistiche. Il 58% si aspetta, nel proprio Stato, una modesta espansione economica entro il prossimo anno, il 17% addirittura un’espansione sostanziale. Del resto, sei su dieci vengono già da un periodo positivo, con fatturato in crescita rispetto all’anno precedente. Ma ciò che i CFO sanno bene è che per poter raggiungere simili performance è impossibile restare fermi. La parola d’ordine è scommettere sul cambiamento. Un cambiamento fatto di molte facce: nuovi sistemi tecnologici, investimenti sull’export, diversificazione di mercato. «Non dobbiamo saper far bene solo una cosa, ma tante. È una sfida quotidiana nella gestione della complessità. Ed è ciò che rende unico questo lavoro – osserva Francesco D’Astore, CFO & COO di Eko Music Group, una delle aziende leader negli strumenti musicali, sia in Italia che nel mondo, fondata nel 1959 in provincia di Macerata da Oliviero Pigini. D’Astore, responsabile finanziario da oltre dieci anni dell’azienda, spiega chi è, oggi, un CFO.
D’Astore, dopo una carriera in aziende multinazionali, arriva a Eko Music Group nel 2009. Come ha interpretato il suo ruolo in questi anni?
«Sono qui da quasi 11 anni e mi sento come a casa. Essere CFO per una realtà come Eko vuol dire confrontarsi con una grande complessità e con innumerevoli dinamiche: ogni giorno mi rapporto con player mondali e lavoro fianco a fianco con la proprietà, sentendomi io stesso come uno dei soci. Per altro, sono arrivato in azienda proprio nel clou della crisi economica e ho scoperto che il detto “canta che ti passa” non è poi così inverosimile. Pensi che proprio tra il 2009 e il 2011 il nostro fatturato, paradossalmente, è aumentato».
E oggi, quali sono le sue sfide?
«Sicuramente la digital transformation, ma è un cambiamento che stiamo cercando di affrontare già da tempo così da essere un passo avanti rispetto ai nostri competitors. Ci confrontiamo con realtà come Amazon, ma sappiamo che a noi serve un modello diverso. Ancora più efficace, immediato e completo. E le nuove tecnologie, specie le tecnologie predittive, possono essere di grande aiuto. Abbiamo già sviluppato diversi software di questo tipo e altri ne svilupperemo».
Secondo la ricerca condotta da Amex, per il 59% dei CFO la tecnologia che più impatterà e genererà cambiamenti nei prossimi anni è l’intelligenza artificiale, seguita dall’Internet delle cose per il 48%. È d’accordo?
«Senza dubbio. Queste tecnologie sono acceleratori di business straordinari che anche chi occupa una posizione come la mia deve essere in grado di comprendere e declinare dandosi una visione per il futuro. Nel nostro caso, ad esempio, siamo sempre più decisi a investire in chatbot che possano supportare in maniera profonda e one to one i clienti. I siti internet come li conosciamo oggi diventeranno presto solo un ricordo».
Un ricordo. Così come, la figura del classico contabile.
«Esattamente. Un CFO di un’azienda mediamente evoluta, oggi, deve occuparsi di reportistica, legal, HR, tecnologie, credito, M&A, export, foundrasing, planning, riposizionamenti aziendali. Deve avere competenze a 360 gradi, per questo dico sempre che il bello del mio lavoro è che non puoi essere bravo a fare solo una cosa, ma devi saperne fare tante. Devi saperti confrontare con la complessità. E la complessità è tutto: dalla finanza alla gestione del rischio all’export».
A proposito di export, il 60% dei CFO intende investire proprio in questa direzione.
«È una scelta che comprendo e condivido. Ho sempre pensato che chi diversifica, vince. E diversificare significa non solo proporre sul mercato prodotti diversi, ma anche operare in aree diverse: in Italia e all’estero, su più Paesi. Non solo. All’apertura internazionale vanno affiancati gli investimenti nei servizi informatici e bisogna curare la propria reputazione. Senza una buona reputation non si va da nessuna parte».
Guardando al futuro, quindi, anche lei ha una percezione ottimistica come i suoi colleghi europei?
«Personalmente, sono convinto che la crescita passi dai tre pilastri che ho nominato in precedenza, dunque: estero, digital e reputazione. Tutte aree sulle quali possiamo e dobbiamo lavorare anche noi CFO. Il punto è un altro: cos’è che mi spaventa? Tutto resto, come l’andamento economico nazionale e internazionale e la stabilità politica, che non dipendono dal nostro controllo. Se questi aspetti non sono sufficientemente solidi e credibili, è un problema per tutti. Ma, ancora una volta, accettiamo la sfida».