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DSP-1181, il primo farmaco “creato” da un’intelligenza artificiale

Smart Business

18 Maggio 2020

American Express

È concretamente iniziata l’era dei farmaci ideati dall’intelligenza artificiale. A darne l’annuncio a livello mediatico sono state la startup britannica Exscientia e l’azienda farmaceutica Sumitomo Dainippon, di evidente provenienza giapponese. In particolare, un gruppo interdisciplinare di ricercatori ha annunciato di aver messo a punto una nuova molecola dalle promettenti applicazioni terapeutiche, facendosi dare una grossa mano dall’IA. Anche se sono emersi alcuni dettagli sulle caratteristiche del farmaco – si chiama per adesso DSP-1181, ha come possibile indicazione terapeutica il trattamento del disturbo ossessivo compulsivo ed è già arrivato alla fase 1 della sperimentazione clinica – la rilevanza della notizia sta soprattutto nell’apertura di nuovi scenari di ricerca. Non era mai capitato, infatti, che una porzione così ampia del lavoro scientifico fosse delegata a un algoritmo, seppur sotto la supervisione degli esperti.
 
Dire che l’intelligenza artificiale ha “creato” il farmaco è in parte un’esagerazione. Il ruolo attribuito al software, infatti, è quello di automatizzare tutto quel processo decisionale fatto di milioni di scelte che portano a selezionare – tra le infinite possibilità – una molecola che possa rivelarsi utile per la salute umana. Potremmo quindi definirla un percorso di analisi, di progettazione, di computazione o, per usare un lessico più umanizzato, di invenzione del farmaco. Un’attività che, nella pratica, consiste nell’eseguire simulazioni digitali in grado di mettere alla prova l’efficacia dei composti molecolari, includendo effetti chimici, reazioni fisiologiche e fattori genetici a partire da un enorme database che include una miriade di parametri.
 
Naturalmente questo non significa che la molecola trovata dall’algoritmo sia pronta per essere somministrata alle persone. Anzitutto deve essere sintetizzata in laboratorio, deve superare tutto il processo dei test pre-clinici e poi, solo in un secondo momento, può iniziare i test sull’uomo. DSP-1181, che ha seguito esattamente questo iter, è ora pronto per iniziare la sperimentazione su un piccolo gruppo di volontari, tutti giapponesi, che serviranno per una prima valutazione della sicurezza e tollerabilità del farmaco: un processo definito nel gergo clinico fase 1, che poi prosegue con altre prove su una popolazione più ampia per stabilire l’effettiva efficacia del trattamento.
 
In questo senso la vera notizia è che il percorso di approdo alla fase 1 fino a oggi ha richiesto mediamente quasi 5 anni, mentre grazie all’impiego dell’intelligenza artificiale (che ha fatto risparmiare molte prove inutili) il tempo si è ridotto dell’80%: sono bastati, infatti, solo 12 mesi.
 
Il caso specifico del disturbo ossessivo compulsivo è solo un esempio di ciò che, ben più in generale, nel giro di pochi anni potrebbe rendere l’IA il nuovo standard internazionale per l’individuazione di nuove molecole potenzialmente impiegabili in ambito farmaceutico. Il processo seguito, infatti, in linea teorica è generalizzabile a qualunque tipo di patologia o disturbo. Non a caso le stesse aziende hanno già raccontato che sono al lavoro per individuare nuove molecole e che alcune altre sono in fase di studio preclinico. Dalla lotta contro certi tipi di tumore alle patologie croniche e cardiovascolari, a lungo termine possiamo immaginare che gli algoritmi dell’intelligenza artificiale entrino ad aiutare il lavoro di ricerca in tutte le aree della farmacologia.
 
In questa prospettiva allargata, presto o tardi tutte le procedure di validazione dei farmaci dovranno essere ripensate per combinarsi al meglio con le nuove soluzioni hi-tech. Dall’analisi dei big data sui pazienti alle diagnosi, ormai l’ingresso dell’intelligenza artificiale nel mondo healthcare è realtà, e come conseguenza anche le prassi cliniche e tutto il comparto pharma dovranno evolvere. Sul fronte aziendale, invece, questo cambio di paradigma implica l’ingresso sul mercato di nuovi player, e non è un caso né una novità che Google, Microsoft e molte altre aziende con una forte competenza sul digitale abbiano già iniziato percorsi di investimento sulle applicazioni mediche.

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