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Un’impresa vale non solo per numeri e utili: nell’epoca di Internet a contare è anche la reputazione digitale. Ecco come funzionano i canali della nuova “affidabilità”.
Non sono solo fatturato, utili, investimenti a decretare quanto vale un’azienda. A pesare sempre di più sull’effettivo valore di un’attività è la reputazione digitale, che si costruisce attraverso recensioni online e giudizi che passano tramite social, app, siti e community. Insomma, per reputazione digitale di un brand o di un’impresa si intendono le valutazioni che gli acquirenti esprimono online in conversazioni, chat e commenti.
Il nuovo “metro” per valutare un’azienda
In una società che è sempre meno “fisica” e sempre più “digitale”, i giudizi che viaggiano online sono la materia di cui sono fatte le “reputation” per brand, prodotti, servizi. Quei giudizi sono il metro di valutazione che conta per vendere, guadagnare e crescere. Lo stesso metro negli ultimi anni sta diventando sempre più importante anche per scegliere chi assumere. Una recente ricerca Adecco sostiene infatti che il 44,1% dei recruiter ha scartato un candidato in base a informazioni trovate in Rete, cioè in base alla sua web reputation. E, se tale criterio vale per le persone, pesa anche per le attività imprenditoriali. La percezione che i consumatori hanno conta almeno quanto la realtà fatta di numeri, vendite, fatturato e utili, e garantisce una dose ulteriore di credibilità e affidabilità.
Le diverse “facce” della reputazione
La reputazione ha però diverse facce. Il valore percepito di alcune aziende, ad esempio, può essere molto alto per qualità dei prodotti e servizio clienti, ma non altrettanto positivo per quanto concerne le politiche aziendali, la sostenibilità o il trattamento del personale. Altre aziende, invece, presentano giudizi molto elevati in merito all’ambiente lavorativo: la presenza in azienda di asili nido o palestre per i dipendenti può essere molto attrattivo, innalzando di conseguenza anche il livello reputazionale.
La “moneta del futuro”
La reputazione, secondo quanto suggeriscono gli economisti Michael Fertik e David C. Thompson nel loro libro “Reputation Economy”, è la “moneta del futuro”. L’affidabilità costruita giorno per giorno dall’azienda, ad esempio, può essere “spesa” per ottenere un prestito più facilmente, e quindi per investire e crescere. Una buona reputazione garantisce inoltre un punto di forza per negoziare e quindi per avere un buon potere contrattuale. È insomma un veicolo fondamentale per creare un’aura di fiducia nei confronti di clienti e committenti.
La credibilità viaggia online
In un mondo in cui più del 70% delle persone utilizza il Web tramite motori di ricerca per trovare prodotti o servizi, le informazioni che fanno “reputation”, i video, le immagini, le testimonianze e le recensioni, i post, gli articoli, i blog di settore, gli influencer, assumono un valore enorme. Sebbene ciò che trasmettono queste fonti non sia sempre affidabile, il pubblico lo ritiene comunque credibile: in termini tecnici, questo processo si chiama bias cognitivo, oppure distorsione della realtà. Più dell’affidabilità della valutazione, insomma, conta da chi quella valutazione arriva e da quanto noi consideriamo credibile quella fonte.
Un meccanismo simile si ritrova nella reputation economy, nel senso che il consumatore percepisce in modo spesso distorto la realtà e il mondo Internet sfrutta i nostri “bias” cognitivi per darci quello che cerchiamo, indipendentemente dal fatto che questo corrisponda o meno ai nostri reali interessi o bisogni. Per questo motivo, secondo il World Economic Forum la reputazione oggi rappresenta almeno il 25% del market value dell’azienda. Un fattore di cui è diventato ormai inevitabile tenere conto.