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Export a rischio per l’effetto Trump

Business Insights

11 Ottobre 2017

American Express

Nell’agroalimentare perdite per 300 milioni: colpiti vino, pasta, formaggi e beni ortofrutticoli
Dazi, barriere e confini non aiutano l’Italia, dal protezionismo non possono che derivare danni incalcolabili al sistema delle piccole e medie imprese. Non ha dubbi il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, nel denunciare con forza i guasti che provocherebbero alla economia politiche restrittive del commercio. Una linea espressa in riferimento agli scenari che potrebbero aprirsi da una concreta applicazione della politica commerciale degli Stati Uniti «America First» del presidente Donald Trump. Ieri, presso il Centro studi americani, si è aperto il confronto su uno studio elaborato dall’Ismea che analizza quattro possibili scenari che si delineerebbero in base all’entità delle misure che l’amministrazione Trump potrebbe adottare, dai dazi antidumping agli accordi bilaterali fino a una messa sotto accusa dei Paesi accusati di determinare i deficit commerciali (Cina in prima linea con la metà del «buco»).
Il rischio di un tracollo sul mercato americano dell’export di prodotti italiani, e agroalimentari in particolare, potenzialmente esiste. Le minacce del presidente degli Stati Uniti di adottare una politica protezionistica per ridurre il fortissimo deficit commerciale porterebbero infatti a una pesante penalizzazione dell’Italia, quinto partner commerciale degli States, che attualmente esporta prodotti per oltre 40 miliardi e ne importa 15 e andrebbe a colpire in particolar modo il food made in Italy che ha nel mercato americano uno sbocco sempre più rilevante. Gli Usa assorbono infatti il 10% delle spedizioni agroalimentari italiane extra-Ue per un valore di 3,8 miliardi, costituito per oltre il 35% dal vino con 1,3 miliardi, seguito da olio, formaggi, pasta, dolci e ortofrutta trasformata. Il mercato americano è diventato un Eldorado: dal 2010 a oggi le spedizioni sono cresciute del 70 per cento. Se questo flusso dovesse interrompersi, secondo le stime Ismea, l’Italia potrebbe perdere fino a 1,4 miliardi, di cui 300 milioni solo nell’agroalimentare.
L’allarme dunque è alto e secondo Martina il rimbalzo negativo di una scelta fortemente protezionistica potrebbe essere addirittura superiore a quello provocato dall’embargo russo. Per il ministro non ci sono alternative a una politica che punti su relazioni commerciali forti, ma con regole nuove in grado di rispondere ai profondi cambiamenti del commercio mondiale e alle necessità delle imprese. Il futuro del sistema produttivo nazionale, secondo Martina, non può prescindere dalla capacità di stare sul mercato che è l’essenza del rilancio economico e non basterebbe la sola ripresa dei consumi interni. Una linea coerente anche con la difesa che ha sempre fatto del Ceta, l’accordo commerciale Usa-Canada che entra in vigore oggi, nel quale continua a vedere opportunità per le produzioni agricole di qualità anche se è disposto a ragionare su tutte le questioni ancora aperte. Ma anche nei confronti degli Stati Uniti Martina tende a smussare le criticità e dice «non ci sono crepe e sono più le cose che ci uniscono di quelle che ci dividono. Ne parleremo al G7 agricolo, in programma a Bergamo a metà ottobre, dove dialogheremo con il ministro dell’Agricoltura degli Usa». Intanto anche il report di Ismea vede ne «L’America First di Trump» più un tentativo di mostrare i muscoli che una concreta minaccia. Anche perchè, come ha spiegato Dominick Salvatore, professore della Fordham University di New York, «Trump minaccia, ma alla fine deve capire che il protezionismo non aiuta nessuno e soprattutto gli Stati Uniti, perchè la vera ragione del defiicit insostenibile è dovuto alla spesa superiore alla produzione. In questo contesto il protezionismo potrebbe solo essere uno svantaggio».
È la conclusione a cui arriva l’indagine ilustrata dal direttore generale di Ismea, Raffaele Borriello, che nelle quattro ipotesi ( sfruttamento dei margini di manovra disponibili con l’attuale sistema, ostilità concentrate sulla Cina, raddoppio dei dazi con la Ue, e guerra commerciale come ritorsione di quest’ultima) vede solo nella guerra commerciale un effettivo rischio per l’Italia, ma con una conseguenza ancora più negativa per gli Stati Uniti, proprio sul fronte dell’agroalimentare. «Le simulazioni realizzate – ha sottolineato Borriello – mostrano effetti relativamente modesti rispetto all’allarmismo alimentato dagli annunci e dunque sembrano suggerire il messaggio che Trump, almeno sul fronte delle politiche commerciali sia un cane che abbaia, ma non morde». Emerge però, secondo Ismea, la necessità di gestire la nuova globalizzazione, perchè quando il Wto è partito, negli anni Novanta, c’era l’egemonia di Usa e Ue, oggi ci sono sulla competitor come Cina, India Brasile. L’effetto Trump dunque sarà quello di «rottamare l’ordine economico internazionale».

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