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Federalberghi chiede più regole per Airbnb

Business Travel

12 Marzo 2020

American Express

Alla fine di gennaio 2020 sul solo portale di Airbnb c’erano oltre 380mila soluzioni di affitto disponibili in tutta Italia, mentre nei momenti di picco, tipo agosto 2019, si è arrivati a quasi 460 mila. Il colosso di San Francisco, che nella Penisola movimenta un giro di affari attorno ai due miliardi di euro annui non è ovviamente l’unico operatore del settore: ci sono pure Booking, Homaway, Italianway, in un florilegio di affitti brevi di singole stanze o interi appartamenti che ha sicuramente infastidito il comparto alberghiero, scatenando non poche polemiche tra ospitalità ufficiale e nuove forme di sharing economy.
 
 
Federalberghi punta il dito da tempo contro il sistema degli affitti brevi, e soprattutto contro il colosso Airbnb che “per come è strutturato permette a host poco coscienziosi di approfittare di un buco normativo e fare affari in modo sleale. Gli alberghi a una, due e tre stelle, infatti, fanno parte dello stesso mercato degli affitti brevi, ma la differenza è nei costi da sostenere, che ammontano a quasi il 50% del fatturato”, ha spiegato Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi Roma. “Si tratta di strutture destinate a scomparire se non si interviene tassando allo stesso modo gli affitti brevi. Come avviene già all’estero. Si pone inoltre con tutta evidenza un problema di evasione fiscale e di concorrenza sleale, che danneggia tanto le imprese turistiche tradizionali quanto coloro che gestiscono in modo corretto le nuove forme di accoglienza”.
 
 
Non si deve, tuttavia, pensare che i ricavi da locazione di un appartamento sulla piattaforma Airbnb siano esenti da costi: Airbnb, infatti, incassa una percentuale vicina al 20% del totale pagato dall’affittuario; il 21% se ne va poi in tassazione con la cedolare secca, e inoltre bisogna considerare i costi per le pulizie, consegna chiavi e cambio biancheria, che se vernalizzatati presso terzi o presso una agenzia erodono ulteriormente i ricavi.  Restando all’esempio di Milano, il capoluogo lombardo aveva una popolazione in crescita di 15 mila persone all’anno, circa 100 mila abitazioni in affitto su un totale di 600 mila. E di queste 100 mila, solo 10 mila rivolte ai turisti. Quindi c’è di sicuro una domanda crescente legata al turismo, alle fiere, agli eventi. Ma se un proprietario decide di registrarsi su una piattaforma online per affittare anche solo per pochi giorni all’anno il suo appartamento o una stanza singola, ciò è dovuto all’assenza di alternative considerate di pari convenienza.
 
 
La tassazione sugli immobili è esplosa nell’ultimo decennio, con l’Imu sulle seconde case e la cedolare secca che ha solo in parte attutito gli effetti impositivi. I contratti tradizionali, poi, non tutelano in alcun modo il proprietario di fronte a inquilini morosi, con case che possono rimanere occupate in maniera infruttifera per molti anni in attesa di una decisione del giudice. Perciò è la scarsa tutela della proprietà che spinge verso gli affitti brevi, nella speranza di guadagnare qualche extra mensile.
 
 
Il ministero dei beni culturali e del turismo, comunque, sta approntando una nuova legge per colpire chi fa degli affitti brevi un vero e proprio lavoro. In sostanza, secondo la normativa, chi affitterà più di tre unità immobiliari anche per meno di 30 giorni sarà considerato un imprenditore, anche se si avvarrà di intermediari o di portali specializzati come Airbnb. A fine gennaio, su Airbnb, c’erano poco meno di 9 mila host che gestivano almeno quattro appartamenti. Peraltro, quasi mai queste figure sono i diretti proprietari, ma sono property manager, agenzie, gestori professionali che hanno già aperto una partita Iva.
 
 
Insomma, il mondo degli affitti brevi nasconde di sicuro molto sommerso (ma non così tanto come si pensa) e non tutto va a scapito del settore turistico (gli alberghi a una e due stelle, peraltro, già stavano chiudendo massicciamente prima dell’arrivo di Airbnb). E ci sono già una serie norme, inattuate, che contribuirebbero alla emersione del nero: per esempio la istituzione di una banca dati delle strutture ricettive e degli immobili per locazioni brevi, ai sensi dell’art. 4 del dl 50/2017, da identificare secondo un codice da usare in ogni annuncio. Inattuato anche il trasferimento dei dati da AlloggiatiWeb all’Agenzia delle entrate.
 
 
All’estero, per contrastare il fenomeno affitti brevi a scopo turistico, hanno introdotto norme più stringenti di quelle italiane: per esempio, a New York gli affitti brevi sono consentiti solo se il proprietario risiede nell’appartamento; a Londra e Berlino locazioni brevi per non più di 90 giorni all’anno; a Parigi per non più di 120 gg all’anno, così come a Barcellona; ad Amsterdam, addirittura, non più di 30 gg all’anno.

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