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Sono passati ormai cinque anni da quando Borsa italiana ha lanciato il progetto Elite, dedicato alle imprese che vogliono avvicinarsi al mercato dei capitali. È tempo di fare un primo bilancio. «Sicuramente positivo – spiega Raffaele Jerusalmi, amministratore delegato di Borsa italiana – Abbiamo più di 700 aziende aderenti, di cui 437 italiane, più o meno quante sono quotate a Piazza Affari. Nel progetto ci sono circa 300 aziende internazionali di 27 diversi Paesi, che partecipano all’iniziativa, europei ed extra-europei. Abbiamo coinvolto 120 investitori e 150 advisor. E proprio in queste settimane abbiamo lanciato il primo basket bond, uno strumento che può cambiare le dinamiche di finanziamento delle aziende». Può spiegarci come funziona? Si sono consorziate dieci imprese Elite che hanno emesso obbligazioni, di uguale durata e condizioni, acquisite da un veicolo che a sua volta ha emesso un’unica obbligazione rappresentativa delle dieci. Sono stati raccolti così 122 milioni a tassi molto competitivi, sotto il 4%, certamente inferiori a quelli che avrebbero potuto spuntare singolarmente. Anche Bei e Cdp ne hanno sottoscritto una parte come investitori principali. Finora quante società provenienti da Elite hanno fatto effettivamente il salto verso il listino? Sono 13 società (di cui due si sono quotate a Londra) dall’avvio del progetto, rispetto alle 39 società che si sono quotate quest’anno sui mercati di Borsa italiana, compreso l’Aim. Non necessariamente però il processo di avvicinamento al mercato dei capitali sfocia nella quotazione.
Certamente però anche l’anno prossimo penso che arriveranno ancora diverse società dal progetto Elite. Quale è la previsione di matricole per il 2018? Non abbiamo indicazioni precise sull’Aim, ma abbiamo indicazioni per le altre che hanno iniziato il processo per la quotazione. Ci aspettiamo circa 50 nuove società. Se le aspettative saranno confermate, sarà l’anno record per le matricole, più di quelle arrivate in Borsa nel 2000. Ci sono motivi particolari dietro il ritorno d’interesse per il listino? Sicuramente c’è stato un cambiamento culturale nella percezione che le società hanno della Borsa. Io credo che sia in parte anche il risultato del successo che hanno avuto alcuni imprenditori che hanno deciso negli ultimi anni di fare questo passo. Penso, per esempio, a Remo Ruffini di Moncler, ad Nerio Alessandri di Technogym, a Brunello Cucinelli o a Ferragamo. Gli imprenditori si sono accorti che la quotazione è un’opportunità, che per crescere serve anche fare acquisizioni e la Borsa aiuta. Tra l’altro, per quanto riguarda Elite, abbiamo le statistiche che ci dicono che circa 90 società delle 437 italiane partecipanti hanno generato operazioni di M&A. Molti settori in Italia hanno del resto bisogno di consolidamento, in particolare quelli più tradizionali, dalle piastrelle alla meccanica. Anche la moda? I francesi sono andati nella direzione dei conglomerati. La moda un po’ meno perché lì c’è un tema di brand e i grandi agglomerati hanno mostrato che poi le sinergie sono limitate, se non nella distribuzione dove le dimensioni possono avere un peso. Parliamo del web. Le Borse sono state tra i primi soggetti a essere “aggrediti” dalla concorrenza di circuiti telematici, ma, a quanto pare, hanno resistito. Com’è che le Borse non sono state scalfite da Internet? Forse perché per prime hanno fatto uso della tecnologia in modo efficiente. Borsa italiana per esempio ha adottato le contrattazioni elettroniche al 100% fin dal ’94. I mercati Usa hanno sofferto un po’ di più perché hanno mantenuto più a lungo il sistema delle grida. È un tema di tecnologia, non di modello di mercato.
C’è una stima degli scambi fuori Borsa? Per quanto riguarda le azioni italiane quotate a Piazza Affari gli scambi fuori Borsa sono nell’ordine del 40%. A Londra si arriva anche al 60-70%. Ma ci aspettiamo che con la Mifid 2, che entra in vigore dal 1° gennaio, ritorni in Borsa buona parte di quello che è uscito. In che senso? Sono stati introdotti più obblighi in termini di trasparenza e best execution. Per cui, con l’eccezione forse di grandi blocchi per importi molto rilevanti, diventa più efficiente tornare a portare i flussi in Borsa. La tassa sulle transazioni finanziarie che ormai grava da quattro anni sugli scambi di Piazza Affari non ha avuto l’effetto di diminuire gli scambi? Più che altro, a fronte dell’introduzione della tassa, si è assistito a un ridimensionamento degli scambi retail, che sono scesi da un quarto del totale a circa il 18%. E questo, ci dicono gli operatori online, si è accompagnato a uno spostamento a favore di altre piazze, in particolare Usa e Germania. Si discute molto di web tax in questi giorni. Cosa ne pensa? Ritengo che sia corretto creare un terreno di gioco omogeneo, visto che le imprese che operano in Italia le tasse le pagano. Allo stesso tempo penso non sarà facile regolamentare. Gli scossoni vertice del gruppo Lse, di cui Borsa italiana fa parte, potrebbero avere contraccolpi a Milano?
Ci sono state discussioni all’interno dell’azionariato, l’ad Xavier Rolet si è dimesso e anche il presidente Donald Brydon ha anticipato che comunque non si ricandiderà nel 2019. Sarei sorpreso se cambiasse qualcosa di sostanziale per noi. Comunque bisognerà vedere chi sarà il nuovo ceo, il processo di selezione è in corso e ci vorrà tempo prima di conoscere il nome del successore di Rolet. Il tutto si innesta in un contesto nel quale la Brexit è ancora un’incognita. Non avevate aperto un cantiere per valutare le conseguenze? Il cantiere è sempre aperto, abbiamo ipotizzato diversi scenari, ma il problema è che non abbiamo visibilità sull’evoluzione in termini politici e regolamentari. Abbiamo discusso di questi temi anche con Consob e Bankitalia, ma nessuno è in grado di prevedere ex ante quello che succederà. Certo che, in assenza di altri accordi, la Brexit dovrebbe diventare efficace dal marzo del 2019. Non manca molto e urge un chiarimento. Da una parte abbiamo letto di nuovi sondaggi che danno la maggioranza degli inglesi ora restia a lasciare la Ue, dall’altra sembra che ci si avvicini a un accordo per estendere il periodo di transizione. Ad ogni modo, il contesto rimane molto incerto e pieno di incognite.