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Il mercato Usa vale 20 miliardi

Business Insights

20 Luglio 2017

American Express

Food, fashion, design, shoes and eyewear: il “Made in Italy” del nostro tradizione “Bello e Ben fatto” (fascia alta di qualità ed estetica, senza lusso estremo) continuerà a galoppare alla conquista del West. Ma quanto fiato avrà la corsa nei prossimi anni, tra dazi minacciati o, al contrario, un aumento della domanda interna e del potere d’acquisto della middle class a “stelle e strisce”? A delineare i possibili scenari sono i dati elaborati da Centro Studi Confindustria e Prometeia, per l’ultimo Rapporto “Esportare la Dolce Vita”. Dal paper emerge che, negli Usa, sarà almeno del 28% la crescita cumulata di Made in Italy “bello e ben fatto” tra il 2016 e il 2022, fino a raggiungere quasi 13 miliardi nel 2022 (2,8 miliardi in più nei prossimi 6 anni). Per questi prodotti – che ci identificano, ma, va ricordato, rappresentano il 20% delle esportazioni manifatturiere italiane ed hanno un prezzo del 20% superiore rispetto ai concorrenti – il primo mercato in assoluto. Ma si tratta solo dello scenario prudenziale, di conservazione delle quote di mercato. Perché aumentando le quote – spiegano gli analisti – in un secondo scenario cosiddetto “coraggioso” – cioè dove si ipotizza che il prodotto italiano, almeno nei principali stati federati, riesca a erodere quote ai concorrenti più virtuosi – si arriva ad oltre 5 miliardi in più rispetto al 2016. Uno scenario – spiegano gli esperti – reso molto credibile dalla performance degli ultimi 5 anni e dal fatto di aver scelto, tra i concorrenti-benchmark, solo Paesi simili all’Italia, per posizionamento o struttura dei costi. Infine – e qui si entra in uno scenario “ideale” ma non irreale (nel quale si ipotizza di riuscire a raggiungere negli Usa la stessa quota di mercato media che questo segmento di Made in Italy ha nei mercati avanzati, ossia l’8,1% dal 5,2%) – il potenziale di crescita, rispetto al 2016, raggiunge quasi 10 miliardi di euro, portando il nostro export di “bello e ben fatto” negli Usa fino a 20 miliardi di euro nel 2022. Eppure, tra gli oltre 200mila esportatori italiani (industria e servizi), meno di 40mila vendono negli Stati Uniti. Non solo per gli oltre 7 mila chilometri che separano l’Italia dalla costa est americana. Ma anche per la minore conoscenza del mercato, gli standard tecnici e le norme di omologazione diverse tra Ue e Usa e la solita “taglia small” delle Pmi italiane. Ma c’è il rovescio della medaglia. Sulle buone prospettive incombe, però, lo spettro del neo protezionismo. Se messo in atto potrebbe condizionare gli scenari a medio termine. Quantificando il costo per l’Italia di uno scenario shock in cui si ipotizza che le tariffe doganali ritornino alle condizioni precedenti le liberalizzazioni degli anni ’90 l’export Made in Italy di solo “bello e ben fatto” nel 2022 risulterebbe di 1,4 miliardi inferiore rispetto allo scenario base (11,6 miliardi sui 13 previsti). Infine, non tutti gli stati federati danno le stesse opportunità. Nel 2015 le quote di mercato italiane a New York e nel New Jersey superavano la doppia cifra ed erano a livelli significativi in Florida e Massachusetts, in entrambi casi sopra al 5 per cento. L’area intorno a New York, nel 2022, varrà come oggi il Regno Unito. Emblematico il Texas: con oltre 37mila euro di reddito pro-capite disponibile e 27 milioni di abitanti vale quanto il Portogallo. Troppo poco. E senza una politica di penetrazione del mercato più aggressiva, tra poco sarà pure troppo tardi.
 

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