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Francia, Gran Bretagna e Olanda sono ad oggi i paesi europei che offrono alle imprese il mix più ampio di incentivi per gli investimenti in ricerca e sviluppo. Leggermente più indietro l’Italia, che ha puntato da tempo su un piano (meno articolato) basato su maxi-ammortamenti, credito d’imposta e patent box, ridimensionato inoltre con l’ultima legge di Bilancio.
Da ormai diversi anni i Paesi europei hanno avviato una competizione tra loro, per attrarre maggiori investimenti in ricerca e sviluppo. L’obiettivo è stimolare i privati ad investire nell’innovazione con lo scopo di rendere il più possibile rapida e indolore la sostituzione di strutture economiche ormai superate. In questo contesto, il G7 di Torino del settembre 2017 ha rivestito un ruolo importante nel tentativo di coordinare le politiche dei singoli Paesi e rilanciare gli investimenti dello specifico settore manifatturiero in un’ottica Industria 4.0. Ciò premesso, analizzando la situazione dei diversi paesi, emerge che alcuni di essi puntano sugli incentivi fiscali, mentre altri prediligono la forma dei finanziamenti diretti. Con alcune eccellenze, come la superdeducibilità al 230% in Gran Bretagna per i costi relativi alle attività R&S o il prelievo ad aliquota ridotta del 5%, in Olanda, sugli utili derivanti da attività immateriali per le quali è stato ottenuto un brevetto. Ma andiamo con ordine. L’Italia, come già evidenziato, punta da tempo su maxi-ammortamenti, credito d’imposta e patent box, dimostrandosi tra i Paesi guida per il sostegno alle imprese. Al pari dell’Italia anche la Francia, con il piano denominato “Industrie de Future”, ha optato per un modello di crescita basato su forme simili di incentivazione.
Tra le varie misure spicca un credito d’imposta (tra i più attraenti a livello europeo) del 30% dei costi sostenuti per la ricerca tecnica e l’alta specializzazione fino ad una soglia di 100 milioni di euro e del 5% sull’eventuale eccedenza. Il credito maturato è riportabile in avanti per un massimo di tre esercizi e, se non utilizzabile (questa la peculiarità), può diventare rimborsabile; possibilità che lo rende di fatto un vero e proprio contributo in denaro. È previsto inoltre un maxi-ammortamento del 140% per gli acquisti di macchinari 4.0, ma solo per le imprese minori. Ma il mix di politiche della Francia non si esaurisce qui.
Alle suddette misure si aggiungono infatti gli incentivi per chi investe in start-up e Pmi innovative, tra cui l’esonero degli utili distribuiti ed un regime agevolato per le plusvalenze basato sul periodo di detenzione delle partecipazioni (abbattimento del 50%, 65% o 85% a seconda che la partecipazione sia detenuta per un periodo superiore rispettivamente a 1, 4 o 8 anni), il credito agevolato di Bpi France per le Pmi e un pacchetto di misure per le imprese qualificabili come innovative.
Differentemente da Francia ed Italia, la Germania ha invece privilegiato sin da subito i finanziamenti diretti alle agevolazioni fiscali. Nel suo programma spiccano i fondi diretti erogati alle imprese tramite bando, anche attraverso la Kfw (l’equivalente della nostra Cassa depositi e prestiti). Con la cosiddetta «strategia dell’eccellenza» il governo federale ed i Lander incentivano la ricerca universitaria di alto livello, mentre con il «patto per la ricerca e l’innovazione» si punta a migliorare la competitività del sistema scientifico ed in particolare della Fondazione di ricerca tedesca (Dfg) e delle quattro principali organizzazioni di ricerca non universitarie: la Fraunhofer society, l’Helmoitz association, la Max Planck society e l’Associazione Leibniz. Berlino concede inoltre l’esenzione dall’imposta sui redditi per gli investimenti in venture capital in società residenti in Germania ed attive nella ricerca e sviluppo. Gli investimenti che superano il milione di euro sono ulteriormente agevolabili, in quanto è prevista anche l’esenzione del 40% degli interessi. In Germania non risultano invece fruibili il credito d’imposta per spese in ricerca e sviluppo ed i super-ammortamenti su nuovi investimenti in beni strumentali.
La Gran Bretagna, che negli ultimi decenni ha fatto ampio ricorso ai crediti di imposta, ha quale perno della sua attuale strategia e dell’articolato pacchetto di investimenti pubblici, il supporto alla commercializzazione dei risultati dell’innovazione delle imprese, affidato ai cosiddetti «catapults center», ovvero poli specializzati in specifici settori innovativi. A ciò si aggiungono la superdeducibilità al 230% (o del 130% a seconda della dimensione dell’impresa) per tre anni dei costi sostenuti per personale qualificato e per consulenza, per l’acquisto di software, macchinari e materiali specializzati e specificamente dedicati alle attività R&S, nonché l’esenzione del 45% dell’investimento iniziale e del 100% della futura plusvalenza da cessione per chi investe nel capitale di start-up ad alto rischio.
Infine, i Paesi Bassi, a differenza dell’Italia, hanno basato la loro intera strategia concentrando gli sforzi su nove settori innovativi, sviluppati grazie alle partnership pubblico-privato che ne curano la programmazione. Gran parte del supporto pubblico è fornito sotto forma di incentivi fiscali automatici, tra cui il prelievo ad aliquota ridotta del 5% sugli utili derivanti da attività immateriali per le quali è stato ottenuto un brevetto. Il settore green assume particolare rilevanza beneficiando di ammortamenti accelerati per investimenti in rinnovo ambientale e della deduzione immediata del 36% delle spese eco-sostenibili.