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Indici di crisi a misura d’impresa Controlli ogni tre mesi

Finanza e Pagamenti

18 Dicembre 2019

American Express

Gli indici elaborati dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, che «fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa», sono all’esame del ministero dello Sviluppo economico, in attesa dell’approvazione. Il lavoro di elaborazione (articolo 13, comma 2, del Codice della crisi d’impresa) è stato effettuato – come si legge nel documento disponibile sul sito del Sole 24 Ore – con un metodo scientifico, cioè partendo dall’analisi dei bilanci messi a disposizione da Cerved e Innolva, con il coinvolgimento di tutti gli stakeholder, ma senza indulgere a processi di mediazione, che potessero risultare “inquinanti”, in qualche modo, della rete degli indici.
 
 
La commissione del Consiglio nazionale, coordinata da Andrea Foschi, ha scelto un modello dotato di capacità predittiva, con una valenza prospettica. Si tratta – si spiega nel documento, anticipato sul Sole 24 Ore dell’11 settembre – di un approccio gerarchico dove l’applicazione degli indici è sistematica e sequenziale.
 
 
Gli indici devono far emergere la sostenibilità dei debiti almeno nei sei mesi successivi e le prospettive di continuità aziendale, all’interno di un insieme più ampio di indicatori sugli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale e finanziario. I ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, l’assenza di prospettive di continuità aziendale e le insufficienti prospettive della cassa sono indicatori dello stato di crisi, definiti dall’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo 14/2019.
 
 
Il kit per il test preparato dal Consiglio nazionale parte dall’entità del patrimonio netto (che deve essere positivo); la seconda prova è sul Dscr, cioè i flussi finanziari a servizio del debito, che deve essere superiore a uno in situazione di normalità. Quindi si passa agli indici di settore: indice di sostenibilità degli oneri finanziari (il rapporto tra oneri finanziari e fatturato); indice di adeguatezza patrimoniale (rapporto tra patrimonio netto e debiti totali); indice di ritorno liquido nell’attivo (rapporto tra cash flow e totale attivo); indice di liquidità (il rapporto tra il totale delle attività e il totale delle passività a breve termine); indice di indebitamento previdenziale e tributario (rapporto tra debiti previdenziali e tributari e totale dell’attivo). Questi indici hanno soglie diverse secondo i settori, per tener conto delle rispettive caratteristiche.
 
 
Gli indici elaborati dalla commissione di esperti del Consiglio nazionale sono “facoltativi” nel senso che le imprese ne possono indicare di “personalizzati” «idonei a far ragionevolmente presumere la sussistenza del suo stato di crisi». Tutto questo, però, dovrà essere motivato nella nota integrativa del bilancio di esercizio, che riporterà anche l’attestazione circa la validità degli indici adottati per decifrare al meglio la situazione dell’impresa.
 
 
La verifica degli indici, da parte degli organi di controllo (collegio – o sindaco – o revisore) deve essere a cadenza trimestrale.
 
 
In base al decreto legislativo 14/2019 sono stati elaborati indici anche per i casi particolari: per le start up costituite da meno di due anni rileva il solo patrimonio netto negativo, mentre valgono le regole generali in caso di successione nell’esercizio di impresa. Per le start up innovative, invece, il Consiglio nazionale mette in evidenza che «rileva principalmente la capacità di ottenere risorse finanziarie da soci, obbligazionisti, banche e intermediari finanziari». La differenza è dunque la capacità di calamitare risorse per finanziare il progetto innovativo. L’indice adeguato è rappresentato dal Dscr, mentre l’assenza di ricavi o i risultati negativi non sono fattori decisivi per individuare uno stato di crisi.

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