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La Bioeconomia vale oggi in Europa 2.200 miliardi annui e da lavoro a oltre 18 milioni di persone. Quella italiana – terzo mercato europeo dopo quello tedesco e francese – vale oltre 260 miliardi (8,3% del Pil) e occupa 1,7 milioni di persone. Al suo interno prevale l’Industria alimentare (51%) seguita da Agricoltura, silvicoltura e pesca (21,5%), Carta (8,9%), Tessile (6,6%), Legno (5,1%), poi i prodotti biobased farmaceutici (2,0%), chimici 1,2%, bioenergia (0,9%), biocarburanti (0,1%) e, a chiudere, gestione e recupero rifiuti biodegradabili (2%).
Ma c’è di più, sta dando vita a tante startup ad alto valore aggiunto (576 le startup innovative nel settore, 7% del totale) soprattutto in Umbria, Marche, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, che sono comunque regioni forti nelle startup innovative, ma anche in Sardegna, Sicilia e Puglia. In questo giocano un ruolo importante alcuni poli universitari d’eccellenza che, insieme alla vocazione territoriale verso i settori della bioeconomia, costituiscono un driver importante per la nascita di queste imprese innovative.
Secondo Fabio Fava docente Università di Bologna e rappresentante italiano Bioeconomia Commissione Europea e Oecd, la produzione primaria italiana (agricoltura, allevamento, acquacoltura, produzione forestale/boschiva) può migliorare sensibilmente in quantità e qualità della biomassa prodotta e nella sua trasformazione in alimentari o composti biochimici, biomateriali e biocombustibili con aumento di qualità e sostenibilità. Su entrambi i fronti serve maggiore tecnologia, soprattutto quella riconducibile all’industria 4.0, ma anche una maggiore interconnessione dei settori produttivi e di trasformazione, con una valorizzazione puntuale della biodiversità sia terrestre che marina, dei servizi ecosistemici e della circolarità.
Serve inoltre l’adozione della strategia nazionale, diretta a mitigare le criticità e a cogliere le opportunità non valorizzate sui territori, per creare nuove catene del valore, più lunghe e maggiormente radicate nel territorio, che consentano la rigenerazione di aree abbandonate, terre marginali e siti industriali dismessi. Secondo Mario Mantovani, vicepresidente Manageritalia, l’Italia deve puntare a livello sistemico sulla Bioeconomia perché si tratta di un must a livello mondiale per una crescita sostenibile, ancor più per un paese come l’Italia che ha una grande tradizione agroalimentare.
La Bioeconomia, spiegano gli esperti, garantisce sicurezza e qualità alimentare, mitiga gli inquinamenti ambientali e i cambiamenti climatici, rigenera l’ambiente, limita la perdita di biodiversità e le grandi trasformazioni nell’uso del suolo. In tutte le sue varie declinazioni a livello di produzione e consumo la Bioeconomia ha un ruolo chiave per raggiungere gli obiettivi dell’economia circolare europea che sono la riduzione del 30% nell’uso delle risorse e del 50% della produzione di gas ad effetto serra e l’ aumento del 4% dell’incremento del Pil e di 1 milione di posti di lavoro entro il 2030.