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Doveva avvenire il 29 di marzo, poi entro il 25 di aprile e ora è in calendario per il 31 di ottobre ma per la Brexit il futuro è pieno solo di incertezze.
Dopo aver tentato invano per ben tre volte di far approvare dal Parlamento il testo dell’accordo da lei negoziato con Bruxelles, il primo ministro inglese Theresa May ha messo in moto il processo che la porterà in tempi rapidi a lasciare le chiavi di Downing Street al suo successore e nel partito conservatore è partita la corsa all’erede.
Al momento tutto lascia credere che l’ex sindaco di Londra ed ex ministro degli esteri Boris Johnson sia in pole position rispetto ai suoi avversari e questa è tutt’altro che una buona notizia per la controparte europea. Johnson è infatti schierato apertamente sul fronte dei fautori della Brexit e fu fra quanti si spesero maggiormente nella campagna del 2016, tanto che ora rischia di dover rispondere di fronte a un tribunale di alcune delle false promesse avallate allora, in particolare che uscendo dalla Ue il Regno Unito avrebbe potuto passare al sistema sanitario svariati miliardi di sterline in più ogni mese (cifre, secondo quanto poi ammesso in seguito, non avevano alcuna aderenza con la realtà).
Nelle scorse settimane Johnson ha spesso dichiarato che è meglio uscire con una Brexit senza accordo che rimanere prigionieri nella Ue e si è detto sicuro di poter in ogni caso negoziare un accordo migliore di quello portato a casa dalla May. Il fatto tuttavia è che gli accordi si fanno in due e da parte europea, come non manca di ribadire in ogni occasione il caponegoziatore Ue per la Brexit Michel Barnier, l’accordo firmato dalla May è l’unico possibile e non vi sono possibili alternative. Il problema è che il negoziato sulla Brexit si inserisce in un quadro politico estremamente fragile per il Regno Unito e Johnson potrebbe cedere alla tentazione di usare la Brexit per ricompattare un partito conservatore allo sbando e in crisi drammatica di consensi.
Mostrarsi muscolari con la Ue e minacciare di uscire dalla Ue senza accordo potrebbe dunque essere la chiave di volta giusta per Boris il Rosso per dimostrarsi politico tutto d’un pezzo che non cede alle pressioni europee e dunque garantirsi una lunga permanenza a Downing Street. A cercare di ostacolarlo su questo percorso vi sono il partito laburista e altre formazioni minori che invece appaiono decise a impedire lo scenario di un’uscita senza accordo che potrebbe avere conseguenze rovinose per il paese e per la sua economia. L’obiettivo del Labor è quello di arrivare a un secondo referendum o quantomeno un referendum di convalida di qualsiasi accordo possa essere approvato dal Parlamento e non vi sono dubbi che alla ripresa dei lavori parlamentari dopo le vacanze estive il termometro di Westminster tornerà a bollire. Quello che appare chiaro è che la situazione di stallo e di incertezza è ancora destinata a durare a lungo e che la data del 31 ottobre rischia di essere solo un’altra tappa intermedia poi abbandonata per altri orizzonti temporali.