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La Brexit slitta ancora, bene per le imprese ma l’incertezza non giova

Varie

22 Maggio 2019

American Express

Prima doveva avvenire il 29 di marzo, poi il 12 aprile. Adesso le opzioni per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea sono slittate al 22 maggio se il parlamento inglese riuscirà a ratificare l’accordo siglato dalla primo ministro Theresa May con Bruxelles entro quella data oppure il 31 ottobre, giusto in tempo per Halloween.
 
L’unico vero risultato che è stato ottenuto sino ad ora è stato quello di evitare un’uscita senza accordo che secondo gli scenari di tutte le istituzioni internazionali, ma anche della stessa banca centrale inglese, avrebbe avuto conseguenze molto gravi per l’economia britannica in primis ma anche di riflesso per quella europea. Certo i paesi che sarebbero stati colpiti maggiormente sono quelli limitrofi in termini geografici e quelli che hanno il maggior interscambio commerciale, fra cui in primis la Germania ma anche in subordine l’Italia. Considerando tuttavia anche le filiere, le catene del valore, il rischio di una propagazione dell’impatto negativo a una fascia molto più ampia di tessuto connettivo aumenta sensibilmente. Basta considerare il grande numero di imprese del nord-est che lavorano come fornitori di componenti e parti di ricambio per l’industria automobilistica tedesca.
 
L’aver evitato un balzo nell’ignoto di una Brexit senza accordo ha rappresentato dunque senz’altro uno sviluppo positivo ma la dote di altri sei mesi concessa dall’Unione Europea alla Gran Bretagna rischia di esaurirsi in fretta se al Parlamento inglese proseguirà lo stallo che ha caratterizzato gli ultimi mesi. Per molti versi in effetti la proroga di altri sei mesi comporta anche la conseguenza negativa di prolungare una fase di incertezza che sta sempre di più condizionando imprese e consumatori. I dati indicano che le imprese inglesi hanno messo un freno ai programmi di investimento non avendo visibilità su quello che sarà il quadro regolatorio nel prossimo futuro e lo stesso vale per le imprese comunitarie con sbocco sul mercato britannico. Rimane dunque ora la speranza che il Parlamento britannico possa trovare un’intesa in tempi rapidi con il governo di Theresa May (o di un suo eventuale successore) in modo da poter arrivare a una soluzione definitiva di questa impasse. Che l’Inghilterra esca dalla Ue il 22 di maggio evitando di prendere parte alle elezioni europee o che invece debba attendere fino agli ultimi giorni di ottobre, ciò che importa è di aver un percorso chiaro e deciso che possa servire da mappa per il mondo produttivo per prendere le contromisure adeguate.
 
Ciò che non si può più fare è quello di vivere alla giornata come si è fatto sino ad ora muovendosi alla cieca. Del resto, è meglio una Gran Bretagna fuori dalla Ue a condizioni chiare che non una sua permanenza in seno al consiglio europeo da membro scontento. E’ esattamente per questo motivo che la Ue ha sì concesso una proroga fino al 31 ottobre ma ha imposto la condizione di una verifica mensile per evitare che la Gran Bretagna, costretta a rimanere (per colpa sua) nell’Unione oltre i tempi previsti, non utilizzi il suo potere di voto per mettere i bastoni fra le ruote alle politiche comunitarie. Un rischio questo che è ben presente nella mente dei capi di governo che hanno discusso con la May dei termini della proroga e che sarà la cartina di tornasole di ogni futuro accordo fra le due aree economiche.

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