Approfondimenti e spunti per far crescere il tuo business.
In Italia, nel mondo del lavoro e in particolare nelle posizioni manageriali, si iniziano a vedere i primi segnali positivi. I CdA delle società quotate sono sempre più “rosa” e le aziende comprendono che garantire la parità di trattamento è una chiave per ottenere successo. Un cambio di passo dovrebbe arrivare con la nuova certificazione aziendale recentemente introdotta dal Governo
Di parità di genere sul posto di lavoro si discute da molto tempo e, nonostante sia riconosciuta come un valore imprescindibile per il successo di un’azienda, in Italia i passi da compiere sono ancora numerosi. Se i numeri dell’occupazione sono in miglioramento dopo i difficili anni della pandemia (fonte Istat, 2021), il fenomeno conosciuto come great resignation, cioè la tendenza ad abbandonare il posto del lavoro soprattutto da parte dei più giovani, sembra colpire maggiormente le donne. Secondo gli ultimi dati resi disponibili dal Ministero del Lavoro, a ottobre 2022, l’incremento delle dimissioni è stato più forte per le donne (+36,5% su base annua, contro il +27,8% degli uomini) con una maggiore diffusione nelle Regioni del Nord e del Centro Italia.
Cosa spinge le donne a lasciare il posto di lavoro? Le motivazioni sono diversissime: si opta, nel migliore dei casi, per lavori più remunerativi oppure si sceglie di abbandonare l’attività, perché risulta impossibile conciliare vita privata e lavoro. In gioco entrano anche i concetti di gender equality (cioè di parità di trattamento uomo-donna) e gender gap (il divario ancora esistente tra i due sessi): in Italia le donne registrano, non solo in ambito lavorativo, condizioni peggiori rispetto agli uomini. Dal “Global Gender Gap Report 2022” pubblicato dal World Economic Forum emerge, infatti, come l’Italia si classifichi al 63° posto, su 146 paesi, in termini di divario di genere sulla base di quattro fattori: economia, istruzione, salute e politica. E se si analizzano esclusivamente gli aspetti economici e lavorativi risulta ultimo tra i paesi dell’Unione Europea.
Le quote rosa nei CdA
Alcuni segnali positivi, però, iniziano ad emergere. Ad esempio, se si prende in considerazione il dato relativo ai manager di sesso femminile che ricoprono posizioni di vertice nei Consigli di Amministrazione delle società quotate emerge come si stia iniziando a rompere il cosiddetto “soffitto di cristallo”, metafora che indica la difficoltà per le donne di occupare ruoli dirigenziali. E lo stesso fenomeno è in crescita nei principali gruppi bancari operanti nel nostro Paese.
La presenza femminile nei CdA è così arrivata al 41% secondo la decima edizione del “Rapporto sulla corporate governance delle società quotate italiane” curato dalla Consob, l’autorità italiana per la vigilanza dei mercati finanziari. Questa percentuale rappresenta il massimo storico osservato sul mercato italiano e l’ingresso delle donne nei board ha portato anche a un abbassamento dell’età media dei membri, oltre che a un aumento nella quota di laureati e di persone con esperienze in ambito sociale e ambientale.
L’importanza della gender equality in azienda
La parità di trattamento tra uomo e donna sul posto di lavoro e l’aumento delle figure femminili nelle posizioni di vertice apportano, secondo gli esperti, valore e importanti benefici nelle aziende di tutte le dimensioni. Le imprese che scelgono di puntare sulle buone pratiche di inclusività di genere, attivandole in tutte le attività, godono di una migliore reputazione e risultano più attrattive. A rilevarlo sono soprattutto le generazioni più giovani, in generale sempre più attente alle questioni etiche, sociali e ambientali.
Una governance aziendale attenta alla gender equality, inoltre, mette i dipendenti nella condizione di essere maggiormente propensi a esprimere le proprie idee e a percepire un minore livello di stress, migliorando, quindi, il loro benessere sul posto di lavoro.
Garantire un clima di parità e inclusione, stando a diverse ricerche internazionali, permette anche di ottenere profitti superiori alla media, anche del 25-35%.
L’elevata presenza femminile nei ruoli apicali, inoltre, risulta fondamentale per avere un management più aperto alle contaminazioni e alle innovazioni, e con una maggiore capacità di riconoscere rischi e opportunità per il business, migliorando la capacità di gestire i processi decisionali.
A confermare l’apporto di valore nelle aziende è anche una recente ricerca dal titolo “Donne & Lavoro – Il lato positivo” presentata da Adecco Group Italia, società specializzata in consulenza e soluzioni HR per il mondo del lavoro. Dallo studio, che ha coinvolto oltre 20 mila lavoratori e più di 500 aziende con lo scopo di capire quali sono le sfide e le criticità che le donne incontrano nella loro vita professionale, è emerso che il 70% dei manager e il 60% dei lavoratori è convinto che la parità di genere abbia un impatto molto positivo sulle performance aziendali. Nel dettaglio, la priorità principale dei dipendenti è l’equità salariale mentre per i dirigenti sono i sistemi di welfare in grado di garantire un corretto work-life balance.
L’ultima novità: la certificazione della parità di genere
Anche i legislatori stanno lavorando per colmare il gender gap in ambito lavorativo, sia nel settore privato sia in quello della Pubblica Amministrazione, in linea con la missione 5 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che punta proprio a ridurre le disparità e a promuovere l’inclusione sociale.
L’ultima novità riguarda lo strumento denominato Certificazione della parità di genere (norma UNI PdR 125:2022) entrato in vigore il 1° gennaio 2022.
A essere coinvolte sono le aziende con più di 50 dipendenti, che sono ora tenute a stilare, ogni due anni, un rapporto sulla situazione del personale. Sulla base dei dati contenuti vengono valutate sei aree: cultura e strategia, governance, processi HR, opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda, equità remunerativa di genere, tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro. Solo quelle società che otterranno un punteggio complessivo superiore a 60 (su 100) potranno ottenere la certificazione, che si traduce in uno sconto dell’1% sui contributi da pagare, fino a 50.000 euro l’anno. Non solo: le aziende più attente alla parità di genere e al trattamento del personale saranno anche privilegiate nell’accesso agli aiuti di Stato, oltre che nel posizionamento nelle graduatorie per i bandi di gara, con una riduzione del 30% delle polizze fideiussorie per la partecipazione alle gare pubbliche.
L’impegno di American Express
Anche American Express è impegnata da anni nello sviluppo e nel benessere del personale, per garantire il rispetto delle tematiche di Diversity, Equity and Inclusion, ad esempio in termini di parità di retribuzione. E in Italia si è recentemente posizionata al secondo posto della classifica “Best Workplace for Women” redatta da Great Place to Work, società di consulenza specializzata nell’analisi del clima aziendale e nel suo miglioramento.
A cura di OFNetwork