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La nuova frontiera delle valute nazionali digitali

Smart Business

17 Luglio 2020

American Express

Dopo le criptomonete – come il Bitcoin e l’Ethereum – la nuova frontiera dell’evoluzione elettronica del denaro sono le valute nazionali digitali, che paiono pronte, in poco tempo, a invadere irreversibilmente i sistemi di pagamento locali e internazionali. E l’accelerazione nell’uso del contante digitale nella prima metà del 2020 fa loro da ulteriore volano. I primi esempi in questo senso provengono dalla Cina e dagli Stati Uniti, e sono stati chiamati rispettivamente yuan digitale della Banca popolare cinese (noto anche come DCEP, Digital Currency Electronic Payment) e dollaro digitale, come suggerito dal neonato Digital Dollar Project.
 
 
Ma di che cosa si tratta? Nonostante restino tuttora alcuni dubbi sul funzionamento del sistema di gestione del denaro, in pratica, queste soluzioni digitali sono tecnologie a cavallo tra la moneta tradizionale in formato elettronico e le criptovalute. Dando origine quasi a un ossimoro e certamente a un bisticcio linguistico, sono metodi di pagamento decentralizzati ma centralizzati, ossia: sfruttano un’architettura multistrato a sistema distribuito dal punto di vista hardware e software, ma allo stesso tempo sono sotto il controllo rigoroso e puntuale della banca nazionale, che sorveglia tutte le transazioni.
 
 
Come funziona una valuta digitale statale
 
 
La principale novità consiste nel gestore della moneta: non più una società privata, come finora è sempre stato per le valute esclusivamente digitali, ma lo Stato. Il principale vantaggio, dunque, consiste proprio nel fatto che il valore è garantito e molto meno soggetto a volatilità, oltre all’integrazione fin dall’inizio con tutti i sistemi di pagamento elettronico standard. Naturalmente ci sono pro e contro: da un lato l’infrastruttura tecnologica permette di erogare pagamenti istantanei a un numero elevatissimo di persone contemporaneamente con la garanzia della sicurezza delle transazioni, è in grado di gestire e memorizzare ondate di micro-pagamenti e permetterebbe di eliminare tutte le forme di intermediazione e dunque le relative commissioni. Dall’altra parte, però, il risparmio sui costi di trasferimento verrà compensato da una totale capacità dello Stato di tracciare tutti i pagamenti, utile per la lotta all’evasione fiscale ma anche un’arma potentissima nelle mani del governo in termini di sorveglianza di massa.
 
 
Le implicazioni delle valute digitali sono però molto più ampie. Ciò che potrebbe accadere, per esempio, è che i cittadini si rivolgano direttamente allo Stato per ottenere prestiti personali, persino di modesta entità, squalificando altri stakeholder finanziari e costringendoli a modificare la propria offerta. Allo stesso tempo, la valuta digitale potrebbe mettere in profonda crisi altri sistemi elettronici proprietari – non solo il Bitcoin, ma pure le valute di Alibaba e di Facebook – perché, a differenza di questi, non potrebbe essere rifiutata come metodo di pagamento e dunque, avrebbe carattere universale. L’essere garantita e promossa dallo Stato centrale, in sostanza, porterebbe la valuta digitale a essere preferibile rispetto a tutte le versioni alternative, almeno per chi non desideri eseguire transazioni nascoste agli occhi del fisco. Attualmente, per i pagamenti e i depositi in valuta digitale non sono previsti interessi, commissioni né canoni di utilizzo.
 
 
Anche l’ecosistema dei cambi inter-valuta potrebbe evolvere di conseguenza. Se da una parte le dinamiche dei tassi di cambio dovrebbero restare invariate, con la versione digitale della valuta che segue pedissequamente quella tradizionale, dall’altra gli uffici e le aziende che si occupano di cambiare valute potrebbero trovare nel digitale un concorrente difficile da battere, sia in termini di velocità sia per convenienza, perché l’agilità del sistema potrebbe potenzialmente azzerare qualunque commissione.
 
 
A che punto siamo
 
 
A oggi il Paese pioniere delle valute digitali è senz’altro la Cina. Il progetto è già stato completato ed è in corso la sperimentazione in quattro metropoli (Shenzhen, Suzhou, Xiong’an e Chengdu), con l’obiettivo di estendere la tecnologia a tutta Pechino entro i giochi olimpici invernali in programma per il 2022. Certamente all’inizio si tratterà di un affiancamento alla moneta tradizionale – cartacea ed elettronica – mentre in prospettiva si potrebbe arrivare a una progressiva sostituzione dello yuan tradizionale con la sua versione digitale.
 
 
Gli Stati Uniti sono ancora nella fase della progettualità, e il tema del dollaro digitale ha fatto il suo ingresso nell’agenda del Congresso solo lo scorso giugno. Ancora resta da stabilire, per esempio, se il dollaro digitale potrà essere utilizzato anche offline, e se l’infrastruttura e il servizio saranno statalizzati o appaltati a società private. Fare confronti tra la soluzione cinese e quella statunitense, non è semplice, perché la prima è in gran parte tenuta segreta e la seconda è ancora a livello embrionale: tuttavia, l’architettura e l’impostazione sembrano piuttosto simili, e l’unica differenza sostanziale pare essere nel coinvolgimento delle banche commerciali, totalmente escluse dalla versione cinese e invece parte attiva con funzione di intermediazione per quella statunitense. L’altra differenza, per nulla sorprendente, è in termini di privacy. Mentre nel sud est asiatico il tema della riservatezza delle informazioni è stato del tutto ignorato, negli Stati Uniti sono già state sollevate perplessità relative al Quarto emendamento, che proibisce perquisizioni e controlli indiscriminati da parte dello Stato.
 
 
Infine, ma non certo per importanza, dollaro e yuan digitale aprono a questioni di equilibrio economico e geopolitico internazionale. Possedere un sistema nazionale di valuta digitale, potrebbe rappresentare un vantaggio competitivo, e ciò spiega anche come mai gli Stati Uniti siano rapidamente partiti alla rincorsa della Cina, e perché è probabile che altre grandi potenze mondiali (tra cui l’Unione Europea), possano a loro volta attivarsi a breve.

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