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Il passato qualche volta ritorna. La sigla che fa discutere mezzo pianeta è B.r.i ovvero Belt and Road Initiative. Un progetto di espansione commerciale ideato dal governo cinese per ridisegnare una Via della Seta in chiave contemporanea collegando l’Asia all’Europa e all’Africa. Un’iniziativa, culturale oltre che commerciale, che può porre la tigre asiatica al centro dei traffici globali e a cui ha aderito anche l’Italia con la firma del Memorandum poche settimane fa. «Solo gli accordi firmati qui oggi valgono 2,5 miliardi di euro e hanno un potenziale di 20 miliardi», ha detto il vicepremier Luigi Di Maio a Villa Madama dopo la firma dell’accordo. Parliamo nello specifico di 29 intese, fra cui dieci accordi commerciali con società ed enti italiani. Si va dall’ambito energetico a quello dei trasporti passando per le comunicazioni e la finanza.
Il progetto è ambizioso. La Bri nel complesso comprende intese commerciali con dozzine di Paesi dall’Asia all’Europa e lo sviluppo di sei corridoi logistici per le merci. Il piano, annunciato nel 2013 dal presidente cinese Xi Jinping punta a coinvolgere 65 Paesi che raccolgono circa il 65 per cento della popolazione mondiale e il 40 per cento del Pil. L’iniziativa ricalca un precedente storico importante. La Via della Seta nasce più di 2000 anni fa per volere della dinastia Han che puntava così ad aprire una rotta commerciale con l’Asia Centrale e l’Europa. Un percorso lungo ottomila chilometri, descritto anche da Marco Polo ne il Milione («Quivi si fa molta seta»), che si fonde con la leggenda ma capace di rivoluzionare il mondo e i commerci da Est a Ovest. Le sue diramazioni si estendevano infatti sino alla Corea e al Giappone toccando anche l’India.
Nuova economia
Ma ci saranno ricadute positive per la nostra economia? Su questo fronte gli economisti si dividono tra chi vede più opportunità che rischi e chi l’esatto contrario. Si tratta in ogni caso di un’occasione potenzialmente vantaggiosa in termini di maggiore occupazione, crescita, innovazione tecnologica e infrastrutturale. Basta pensare che nel 2017 lo scambio commerciale italo-cinese ammontava a circa 21 miliardi di export e 30,5 miliardi di import. Preoccupa invece la scarsa reciprocità nell’accesso ai mercati o nell’affidamento degli appalti. Un approccio ben sintetizzato dalle parole del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia: «Serve equilibrio ma abbiamo bisogno di un’idea multilaterale del mondo».