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Le quotate resistono meglio alla crisi

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06 Marzo 2018

American Express

Boccia: «Piccolo è una condizione da superare, serve una dimensione globale»
Cinquecentoventidue milioni di euro. A tanto ammonta l’apprezzamento che ha consentito di guadagnare nel 2017 sul mercato Aim Italia, il listino protagonista della piccola grande rivoluzione del mercato dei capitali, diventato oggi fonte affidabile di finanziamento delle imprese. Cinquanta miliardi il valore di capitali raccolti sia con quotazioni sia come emissioni obbligazionarie (minibond) e con altre operazioni straordinarie che hanno avuto come protagoniste le Pmi e il listino di Borsa ad esse dedicate. E poi il fenomeno delle Spac, i veicoli finanziari che hanno consentito a tante aziende eccellenti di arrivare a Piazza Affari. Il grande cambio di orizzonte sul fronte del mercato dei capitali lo hanno fatto proprio le piccole società. È quanto emerso a margine del convegno, organizzato da Equita per la presentazione dello studio di Baffi Carefin dell’Università Bocconi che ha visto la partecipazione tra gli altri di Vincenzo Boccia (presidente di Confindustria), di Gianmario Verona (Rettore Università Bocconi) e Andrea Vismara (amministratore delegato Equita).
Le aziende quotate risultano più profittevoli delle corrispettive non quotate e sono più resilienti in contesti di crisi a livello macroeconomico. Non solo: hanno spesso un accesso migliore al mercato dei capitale. Nonostante questo, le imprese italiane hanno manifestato storicamente una minore propensione a quotarsi in Borsa rispetto alle controparti estere. «Negli ultimi anni, però, le cose sono cambiate – spiega Andrea Vismara, ad di Equita – una spinta per le imprese a cercare fonti alternative di finanziamento è venuta, oltre che dalle difficoltà riscontrate dal sistema bancario, anche dalle più recenti politiche economiche e fiscali di incentivo verso gli investimenti in imprese italiane, in particolare con i Piani Individuali di Risparmio (Pir) che hanno già raccolto oltre 10 miliardi presso i risparmiatori».
Dallo studio emerge anche che le criticità legate ad una possibile quotazione – di carattere normativo e procedurale – risultano di più facile gestione per le grandi aziende. Al contrario, le imprese più piccole si approcciano al mercato per supportare la crescita e diversificare le fonti di finanziamento. Tuttavia, i costi relativi al processo di quotazione risultano proporzionalmente più elevati e diverse imprese hanno optato per una quotazione sul mercato Aim Italia, sottoposto a requisiti meno stringenti. Invece, sono proprio le Pmi che dovrebbero considerare l’ Ipo come strumento per la crescita e cosi raggiungere una size ottimale che crea valore anche per i soci.
Come ha ricordato Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria «a livello di sistema c’è l’effetto interessante e importante in termini di riattivazione degli investimenti privati e di una maggiore quota di export del Paese rispetto all’anno precedente. Ma piccolo è una condizione da superare, perché si deve avere una dimensione globale. Dobbiamo elevare la dimensione delle nostre imprese e la cultura delle nostre imprese», ha sottolineato Boccia, spiegando che bisogna «passare da imprese familiari, patriarcali a imprese-istituzioni, senza perdere la caratteristica familiare». In questo quadro la Borsa può essere la strada da seguire, ha continuato Boccia, ricordando il progetto Elite realizzato con Borsa Italiana.
«Siamo convinti dell’importanza dei mercati dei capital ecco perché l’anno scorso abbiamo prima promosso la quotazione di una Spac e successivamente abbiamo quotato la nostra stessa azienda sul Aim – ha concluso Vismara -. Soprattutto il Governo ha compreso la centralità di questi temi e ha approvato due norme fondamentali, una destinata a incentivare i risparmiatori a lungo termine con i Pir e la seconda finalizzata ad offrire un credito d’imposta sulle spese di quotazione per le Pmi. Ma c’è ancora molto da fare: semplificazione del processo di quotazione sul mercato principale, differenziazione delle regole di quotazione tra large e small caps a vantaggio delle seconde e maggior tutela delle banche di investimento che supportano anche le PMi – eccessivamente impattate dalla Mifid2».

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