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L’epoca della globalizzazione è davvero finita?

Rubrica economica

01 Febbraio 2023

American Express

Il futuro è globale o locale? È una domanda ancora senza una risposta certa. Nata dopo le ultime vicende geopolitiche, dalla presidenza di Donald Trump, alla Brexit, dalla pandemia alla guerra in Ucraina, dalle difficoltà di approvvigionamento, ai costi delle materie prime. C’è chi parla di fine di un modello. E chi prospetta l’inizio di una nuova era (più giusta?)

La vittoria di Donald Trump alle elezioni americane e la Brexit nel 2016 hanno assestato un colpo durissimo alla globalizzazione che aveva preso il via alla caduta del muro di Berlino. Dalla fine della guerra fredda e soprattutto con l’ingresso della Cina nella WTO (World Trade Organization), si era registrata una tendenza forte, sulla spinta della logica del “prezzo più basso”. Un fenomeno con un rovescio della medaglia umanamente drammatico: il crescente divario tra ricchi e poveri, lo sfruttamento della manodopera nei paesi più poveri, la riduzione delle tutele dei lavoratori e l’incremento dei danni ambientali spesso irreversibili. La pandemia ha messo in luce la vulnerabilità delle catene globali del valore, impedendo l’approvvigionamento di alcuni beni o bloccando le relative catene produttive: tutti noi ricordiamo la difficoltà di reperire dispositivi sanitari durante la primavera del 2020. La guerra tra Russia e Ucraina, la crisi energetica che ne è scaturita hanno inferto un altro duro colpo provocando il ritorno dell’inflazione, che storicamente segna la fine dei grandi cicli storico-economici.
Le catene globali del valore, che garantivano la circolazione di merci, denaro, uomini e competenze, oltre i confini nazionali, sono diventate meno compatte e le reti di fornitura, cruciali per le industrie, più corte e meno efficienti perché più onerose.
La globalizzazione oggi non è più un fenomeno guidato solo dall’economia, ma si inserisce in un contesto nuovo dove domina la geopolitica. Si configura quindi una nuova globalizzazione fondata sulle alleanze politiche, economiche e militari.

Guerra in Ucraina: USA e Cina verso la deglobalizzazione

All’inizio del conflitto centinaia di aziende hanno interrotto ogni attività con la Russia. Gli Stati Uniti hanno limitato o sospeso gli investimenti attuando una politica di reshoring, riportando cioè le proprie attività produttive, o le forniture in patria o in un paese “amico”. Una decisione che sta comportando inevitabilmente maggiori livelli di spesa aziendale e costi operativi più elevati che si abbatteranno come una scure sul consumatore finale.

Nel maggio 2022, Il presidente americano Joe Biden ha lanciato l’IPEF, Indo-Pacific Economic Framework, una partnership strategica tra USA e 13 Paesi che rappresentano complessivamente il 40% del PIL mondiale. Il primo obiettivo è la diversificazione delle fonti di approvvigionamento per ridurre la dipendenza dalla Cina.

Con lo stesso obiettivo, a Gerusalemme, nel luglio scorso, Biden ha avviato l’I2U2 Group, dialogo tra Israele e India con Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti, per collaborare nelle iniziative in campo energetico, di sicurezza, di approvvigionamento di risorse alimentari, trasporti, spazio, salute e acqua.

Sostenibilità e responsabilità: il futuro della globalizzazione

IPEF e I2U2 rispondono alle esigenze della nuova globalizzazione perché includono, finalmente, regole di condotta, il senso di responsabilità, la realizzazione della necessità di contenimento di sprechi e rifiuti, l’ottimizzazione delle risorse energetiche, lo stimolo al cambiamento verso le energie rinnovabili, e l’applicazione di una politica di lunga visione nel gestire relazioni di trade e di business tra paesi alleati e partner. Secondo molti economisti queste sono le basi di una nuova globalizzazione, più responsabile e sostenibile che si muove verso una maggiore diversificazione della provenienza delle fonti ed un migliore sfruttamento dei prodotti del proprio paese con l’inevitabile conseguenza di un maggior costo dei beni, a fronte però di una accresciuta attenzione nei confronti dell’ambiente.

La crisi della globalizzazione al centro dell’ultimo World Economic Forum di Davos

2700 rappresentanti di 130 paesi, l’élite planetaria, si è riunita in Svizzera per il 53° WEF, il cui titolo la dice tutta: “Collaborazione in un mondo frammentato”.

La riunione annuale in cui i leader mondiali si sono sempre incontrati per progettare la libera circolazione di merci, capitali e tecnologia, ha tentato di fare i conti con la crisi della globalizzazione, definendola ormai un’eredità degli ultimi 20 anni più che più una promessa per il futuro. Il cambiamento climatico e la geopolitica sono al centro dell’analisi contenuta nel rapporto WEF appena pubblicato, che anticipa una sempre più probabile recessione mondiale per il 2023. In particolare, il Forum ha messo in luce il fatto di aver accompagnato la Cina a diventare la “fabbrica del mondo” senza però aver compreso l’esigenza di regionalizzare la produzione.

Lo stesso simposio svizzero sembra aver perso lo smalto degli anni passati: più che le presenze, quest’anno si sono fatte notare le assenze, dal presidente americano Joe Biden, al leader cinese Xi Jinping. Il presidente russo Vladimir Putin, a causa del conflitto, non è stato nemmeno invitato.

A cura di OFNetwork

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