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Dopo due oltre due anni di negoziati, il processo per definire i termini del Brexit riparte da zero e per le imprese di tutto il continente si apre un nuovo periodo di incertezza.
Come previsto, infatti, la Camera dei Comuni ha bocciato a stragrande maggioranza il testo dell’accordo negoziato dal primo ministro inglese Theresa May con Bruxelles ritenendo inaccettabile soprattutto la parte che riguarda il confine fra le due Irlande. Per la May, che ha subito la peggiore sconfitta in termini di voti di scarto (230) nella storia della democrazia britannica, la strada appare in salita. Dopo aver detto per mesi e mesi che l’accordo da lei negoziato era l’unico possibile, deve ora trovare in tempi strettissimi un’alternativa che possa essere condivisa dalla maggioranza dei deputati, mission impossible verrebbe da dire. L’unico fatto certo è che nessuno a Westiminster è davvero disposto a correre il rischio di un “hard Brexit”, cioè di un’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea in assenza di un accordo e dunque avventurandosi in un territorio pieno di incognite.
La stessa banca di Inghilterra solo poco più di un mese fa ha avvertito che in questo scenario l’economia britannica potrebbe crollare dell’8% nel solo primo anno ma conseguenze gravi vi sarebbero anche per i paesi che hanno i maggiori interscambi con l’Inghilterra, Germania e Francia in primis ma anche l’Italia pur a distanza. Le probabilità di questo scenario appaiono davvero molto remote e infatti la sterlina, che è un vero indice dell’umore degli investitori, non si è affatto indebolita dopo la bocciatura dell’accordo, segno che gli operatori scommettono su un esito comunque benigno della vicenda.
Questo esito positivo al momento sembra poter venire da due direzioni: la prima è quella di una estensione del termine temporale per l’uscita dalla Ue che al momento cade il 29 marzo. Appare in effetti probabile che il Regno Unito decida di prorogare questo termine in modo da dare maggiore potere negoziale a Downing Street nelle sue interlocuzioni con Bruxelles perché è chiaro che la May sarebbe altrimenti indebolita se dovesse anche tenere d’occhio l’orologio. L’altra ipotesi è quella che a fronte dell’impossibilità di trovare un’alternativa al piano già bocciato, il governo e il parlamento inglesi decidano di tornare a dare la parola al popolo indicendo un nuovo referendum.
In attesa di conoscere quale sarà la strada che verrà imboccata dal parlamento inglese, tuttavia, per le imprese europee l’imperativo è comunque quello di prevedere ogni sviluppo, anche quello peggiore. Del resto, lo stesso presidente della Bce Mario Draghi ha invitato a più riprese le aziende dell’eurozona a essere pronte anche allo scenario di un hard Brexit, un epilogo che secondo gli esperti di S&P avrebbe conseguenze particolarmente rilevanti per la cintura di paesi più immediatamente vicini all’Inghilterra. Per il centro studi di Confindustria invece il Brexit potrebbe rappresentare anche “un’opportunità” per le imprese italiane, se solo fossimo in grado di coglierla. Secondo gli esperti di Viale dell’Astronomia, se da un lato il divorzio del Regno Unito dall’Unione europea può pesare sull’export italiano con “in ballo circa 23 miliardi”, allo stesso può “generare anche opportunità” per l’Italia con più investimenti diretti esteri per 26 miliardi con “un aumento del valore aggiunto pari a 5,9 miliardi annui, lo 0,4% del Pil”. Secondo lo studio i comparti che potrebbero soffrire maggiormente le conseguenze del Brexit, e a maggior ragione di un hard Brexit, sono quelli delle bevande e dell’agrifood. Secondo il Csc il Regno Unito attrae circa il 12% dell’export italiano complessivo dal settore “Bevande”, pari a 1,1 miliardi di dollari correnti nel 2017; inoltre, se si applicassero i regolamenti tariffari tra Ue e resto del mondo, “le bevande sarebbero tra i beni sottoposti a barriere tariffarie più elevate (nell’ordine del 19%)”.