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I bisogni di competenze stanno evolvendo rapidamente a seguito dei profondi cambiamenti dovuti alla digitalizzazione e alla globalizzazione e gli Stati devono investire sempre di più nella formazione continua dei lavoratori e questo vale particolarmente per l’Italia dove l’aggiornamento delle skills rimane ancora insufficiente.
E’ quanto si legge nell’ultimo rapporto dell’Ocse intitolato “Adult Learning in Italy: what role for Training Funds?” pubblicato nei giorni scorsi dall’organizzazione con sede a Parigi. Secondo lo studio, se con l’introduzione delle nuove tecnologie digitali il 15.2% dei posti di lavoro potrebbe essere completamente automatizzato, un altro 35.5% verrà profondamente trasformato rispetto alle mansioni che i lavoratori vi svolgeranno.
In questo contesto, per mantenere il posto di lavoro o trovarne di nuovi, gli adulti in Italia avranno bisogno di aggiornare le proprie competenze durante tutto l’arco della vita lavorativa. La formazione continua – si sottolinea – deve, pertanto, diventare una priorità per l’Italia. Oggi solamente il 20% degli adulti partecipa ad attività di formazione, la metà rispetto alla media Ocse. Questa percentuale scende al 9.5% per gli adulti con competenze basse, il gruppo che ha maggior bisogno di formazione.
“In questo contesto – spiega l’Ocse – i Fondi Paritetici Interprofessionali Nazionali per la Formazione Continua hanno il potenziale di dare agli adulti le competenze necessarie per riuscire nel mercato del lavoro e nella società. I Fondi sono associazioni gestite dalle parti sociali che finanziano la formazione continua dei lavoratori, utilizzando un contributo versato dalle imprese (0.3% della retribuzione)”. I Fondi Interprofessionali hanno lo scopo di incoraggiare le imprese a formare i propri dipendenti e migliorare l’accesso alla formazione continua. Tuttavia, i Fondi sono ancora poco noti in Italia, cosa che denota una insufficiente cultura della formazione e una bassa domanda di competenze rispetto agli altri paesi Ocse, soprattutto tra le imprese di piccole e medie dimensioni.
A questo si aggiungono la burocrazia e i costi della formazione, ancora troppo onerosi per le imprese più piccole. Inoltre, la formazione erogata non è sempre allineata alle esigenze del mercato del lavoro. Il 30% delle attività di formazione finanziate dai Fondi sono in salute e sicurezza sul lavoro, mentre solo poco più del 3% puntano a sviluppare competenze informatiche. I Fondi non sono coordinati tra loro né con le istituzioni e gli altri attori della formazione continua (e.g. regioni, centri per l’impiego). C’è pertanto bisogno, spiega il rapporto, di istituire meccanismi di coordinamento efficaci per evitare duplicazione di interventi e creare sinergie tra le attività portate avanti dai vari attori. Infine, i Fondi hanno bisogno di finanziamenti adeguati e sostenibili per funzionare bene.
Negli ultimi anni il governo ha effettuato dei prelievi forzosi sulle risorse destinate ai Fondi, assorbendone più del 40% nel 2017. Oltre che diminuire le risorse disponibili per finanziare la formazione, questi prelievi rischiano di compromettere la credibilità dei Fondi e minare la fiducia nel sistema. Per garantire che i Fondi vengano utilizzati al meglio, l’Ocse raccomanda di incoraggiare la formazione tra le PMI e i gruppi svantaggiati, ad esempio promuovendo una cultura della formazione tra le Pmi, formando gli imprenditori, riducendo ulteriormente i costi di formazione e la burocrazia per le PMI, e implementando iniziative mirate ai gruppi svantaggiati. Va inoltre allineata la formazione ai fabbisogni, consolidando e rafforzando il coinvolgimento delle parti sociali, facendo miglior uso del patrimonio informativo esistente sui fabbisogni di competenze, e vietando l’utilizzo dei Fondi per fare formazione obbligatoria. L’Ocse infine suggerisce l’istituzione di un osservatorio nazionale sulla formazione continua.