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Dalle fabbriche agli uffici, la digitalizzazione ha rivoluzionato il mondo del lavoro, costringendo le aziende a un ripensamento radicale non solo dell’organizzazione dei processi produttivi e dei tradizionali ruoli professionali al proprio interno, ma anche dei propri spazi.
Una trasformazione forse più evidente nel mondo dei servizi, dove i dispositivi tecnologici hanno reso il lavoro dei dipendenti estremamente flessibile, dinamico e “smart”, rendendo obsoleti i vecchi concept degli uffici e strumenti come scrivanie, computer fissi, stampanti o armadietti. Ma anche nei reparti delle imprese manifatturiere l’automazione dei processi produttivi ha consentito di ridurre lo spazio e il tempo in passato destinati a macchinari ingombranti e attività manuali. Nelle aziende, inoltre, si fa largo il principio, spesso proveniente dal Nord Europa o dagli Stati Uniti, che benessere e felicità siano diritti imprescindibili dei dipendenti, oltre che fattori strategici per aumentarne la produttività e attrarre talenti.
E tutto questo si riflette inevitabilmente sul modo di progettare e arredare gli spazi, mettendo al centro le persone e le loro esigenze, anche di intrattenimento e relax.
Un’azienda sensibile alla cura degli ambienti di lavoro, che offre ai dipendenti aree per lo svago e spazi per creare buone relazioni tra i colleghi, è un’azienda che ottiene di più, assicura Anna Piacentini, amministratore delegato di People 3.0, che da 15 anni lavora per portare nelle imprese il principio della «Happiness at Work», all’interno di una rete internazionale di 50 società. «Abbiamo realizzato una ricerca tra 600 amministratori delegati, manager e dipendenti italiani – spiega –. Gli intervistati dichiarano che sentirsi felici sul luogo di lavoro aiuta non solo a sentirsi più rilassati e meno stressati, ma anche più collaborativi e produttivi».
«È un momento complesso, di grande apertura e con diverse possibilità presenti simultaneamente, che nella progettazione si traducono in due modelli prevalenti», spiega l’architetto Stefano Boeri, che con il suo studio ha progettato, tra gli altri, il centro polifunzionale di Tirana Cubo di Blloku, che integra uffici, negozi, ristoranti e aree verdi. Il primo modello è quello adottato in Italia ad esempio da Google o Siemens: «Creare dentro l’azienda un clima domestico e in qualche modo di intrattenimento informale», dice Boeri. Ed ecco che accanto a (o al posto di) scrivanie e sale riunioni, compaiono tavoli da ping-pong, aree verdi, spazi per bambini, ma anche sale cinema e palestre. E le vecchie mense si trasformano in piccoli ristoranti che offrono ampia scelta di cibi e bevande salutistici per la colazione, i pasti principali e gli spuntini. «Un’altra direzione, non necessariamente alternativa alla prima, è quella scelta dalle aziende che hanno introdotto strumenti come lo smart working o altre forme di lavoro flessibile – aggiunge l’architetto –. Penso al caso di Allianz, a Milano, che ha dimezzato il numero degli impiegati presenti contemporaneamente nell’edificio, riducendo le postazioni, che sono sempre condivise da più persone, in giorni e orari differenti».
Sul fronte opposto ci sono gli spazi domestici o pubblici (come bar, librerie, negozi) che si trasformano in luoghi di lavoro, per accogliere gli «smart workers» che non si recano in ufficio, oppure gli spazi di co-working (oltre 660 nel nostro paese): luoghi che nascono appositamente per ospitare aziende in periodi limitati, start up, oppure i nuovi lavoratori flessibili.
Fenomeni in espansione – in Italia come all’estero – che hanno cambiato radicalmente anche la prospettiva per le imprese del design: «I luoghi di lavoro somigliano sempre più a dei villaggi – osserva Giuliano Mosconi, ceo di Tecno, azienda specializzata in mobili e soluzioni per l’ufficio –. Spazi in cui convivono gruppi di persone che fanno mestieri diversi tra loro. E il nostro è sempre più un lavoro di progettazione a stretto contatto con gli architetti, anche per riuscire a integrare usi ed esigenze differenti in un unico ambiente». La stessa Tecno sta lavorando come partner della start up californiana CommonGrounds per la costruzione di spazi coworking negli Usa. «Al di là degli oggetti, la linea guida per noi è sempre più dividere e organizzare gli spazi», dice Mosconi.
Concorda Claudio Feltrin, ceo della veneta Arper, che non a caso all’ultimo Salone del Mobile ha presentato un nuovo sistema di pannelli divisori, modulari e fonoassorbenti (Paravan): «Oggi il mercato richiede soluzioni di arredo complete, progetti di ambienti più che singoli prodotti. Soluzioni belle e performanti, ma soprattutto flessibili, perché le situazioni professionali sono dinamiche, sia per i lavoratori, sia per le aziende, che hanno spesso l’esigenza di occupare uno spazio solo per periodi limitati».