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La maternità è la peggior nemica della carriera di una donna. L’abbiamo sentito dire in casa, magari dalle nostre mamme che dopo la gravidanza non sono più tornate al loro lavoro, ne abbiamo discusso con le amiche, cercando di identificare il “momento giusto” – professionalmente parlando – per fare un figlio, abbiamo cercato di farlo notare anche agli uomini, siano essi padri, compagni o capi, ricordando che loro stessi sono figli di donne che hanno dovuto affrontare la fatidica la scelta: carriera o famiglia. Eppure, sembra quasi che il connubio lavoro – genitorialità sia una questione esclusivamente femminile. Del resto, a confermarlo sono i numeri: tra il 2011 e il 2016, oltre 115 mila neo mamme sono uscite dal mercato del lavoro. Una su due aveva meno di 35 anni (dati dell’Ispettorato nazionale del lavoro). Un plotone di donne per le quali è stato insostenibile conciliare la vita professionale con la cura dei figli. E allora, ecco entrare in campo il welfare aziendale, leva fondamentale per rendere il rientro al lavoro un po’ meno inaccessibile.
Le possibilità sono diverse: c’è chi sostiene la banca ore e iniziative di “job sharing familiare” come Luxottica, chi prevede un servizio di ambulatorio pediatrico aziendale, come Ferrero, chi ha investito negli asili nido aziendali, come Mediaset e Pirelli. Gettonatissimi sono poi smart working e telelavoro anche perché, come dimostrato da un’indagine interna di American Express, l’introduzione di questi strumenti migliora la produttività.
Il sito Glassdoor, in cui i dipendenti recensiscono in maniera anonima le aziende, ha selezionato 20 grandi realtà che hanno attuato piani di welfare aziendale coraggiosi e innovativi. È il caso di Amazon che ha attivato programmi come il “ramp back” con cui aiuta le mamme a tornare al lavoro, di Timberland che mette a disposizione 40 ore annuali retribuite di volontariato per ogni suo dipendente, e della stessa Amrican Express che oltre a fornire diversi servizi volti a facilitare il work-life balance come il disbrigo di pratiche amministrative, il servizio lavanderia, sartoria, calzoleria e la ludoteca aziendale, estende i diritti garantiti per legge in fatto di congedo parentale, dando la possibilità soprattutto alle funzioni di customer care di usufruire di turni agevolati fino ai tre anni del bambino, garantendo l’esenzione dal lavoro durante le festività principali dell’anno.
Già, ma a proposito di legislazione: cosa è previsto per le lavoratrici – e i lavoratori – italiani?
Il “pacchetto famiglia” della Legge di Bilancio 2019 conferma molti bonus già previsti nella precedente manovra finanziaria, come il bonus “mamma domani” e il bonus bebè, ma viene cancellato il bonus baby sitting o asilo nido alternativo al congedo parentale. Ed è qui che nasce il problema. Per quanto si faccia un passo avanti aumentando i giorni di congedo obbligatorio di paternità da quattro a cinque, la cancellazione delle precedenti misure, rende oggettivamente più difficile il rientro delle mamme al lavoro.
Come evidenziato dall’analisi di Adapt “I congedi a tutela della genitorialità nell’Unione europea”, infatti, se il congedo parentale è utilizzato quasi esclusivamente dalle donne, rischia di favorire fenomeni di discriminazione e segregazione orizzontale poiché tiene le neomamme per un lungo periodo al di fuori del mercato del lavoro, riducendone competenze e guadagni. Meglio sarebbe, quindi, investire in sostegni complementari, come ad esempio asili nido o baby sitting.
Tra le best practice europee a cui ispirarsi c’è, ça va sans dire, quella della Svezia. Qui, entrambi i genitori hanno diritto ad astenersi dal lavoro per un totale di 480 giorni di cui 60 vanno garantiti obbligatoriamente alla madre o al padre. Il congedo può essere goduto fino ai 12 anni del bambino, in una o più tranche e anche frazionato. Così, si di incoraggiano entrambi i genitori a usufruire del congedo parentale in maniera equa. A confermare l’efficacia del sistema sono i numeri: il 90% dei padri richiede il congedo parentale e circa il 20,5% usa tutti i giorni di congedo disponibili.
Da segnalare, in casa nostra, il progetto di Procter & Gamble che dall’1 marzo 2019 ha previsto 8 settimane di congedo retribuito al 100% per i neo-papà con l’obiettivo, appunto, di sostenere la genitorialità condividendo la responsabilità della cura dei figli.
Ridurre il gender gap, per altro, avrebbe benefici allargati. Il Fondo Monetario Internazionale, nell’indagine “Fair Play: More Equal Laws Boots Female Labor Force Participation”, chiarisce che se venisse colmato il divario tra donne e uomini sul mondo del lavoro, si potrebbe avere un aumento del 5% del PIL negli Stati Uniti, del 9% in Giappone e addirittura del 15% in Italia. Paese, il nostro, in cui a pesare è anche la perdita di reddito delle mamme lavoratrici che arriva a sfiorare, come denunciato dall’Inps, il – 35% nei primi due anni dalla nascita del bambino, soprattutto tra le donne con contratto a tempo determinato, proprio perché provoca lunghi periodi di non occupazione. Dunque, ben vengano strumenti di welfare aziendale che sappiano, con lungimiranza, porre fine a una delle più grandi ingiustizie del mondo del lavoro. Per le mamme lavoratrici, e non solo.