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Alexa, Siri e Google Assistant avranno presto una nuova sorellina, che peraltro preannuncia di voler sbaragliare del tutto la concorrenza grazie alle sue caratteristiche hi-tech senza precedenti. E non si tratta di una novità di poco conto. In questi anni stiamo vivendo una fase tecnologica in cui le interfacce conversazionali, ossia i sistemi intelligenti capaci di interpretare il linguaggio naturale umano, stanno diventando sempre più determinanti per applicazioni che spaziano dai sistemi a comandi vocali fino all’assistenza clienti automatizzata.
Al momento, come sappiamo, i chatbot hanno raggiunto un grado di sviluppo inimmaginabile fino a qualche anno fa, ma siamo ancora ben lontani dal livello di empatia e comprensione che può essere garantito da una persona in carne e ossa. Meena, il nuovo sistema targato Google, promette di fare un passo in avanti, trasformando l’esperienza di dialogo con l’intelligenza artificiale in qualcosa di più simile a un vero rapporto interpersonale, con tanto di capacità di comprensione dello stato emotivo, conoscenza enciclopedica sterminata e persino la possibilità di fare ironia o scherzare.
Ma c’è davvero così tanta differenza rispetto alle interfacce di conversazione che già oggi esistono sul mercato? Google ha presentato Meena senza mezzi termini come “il miglior chatbot in circolazione” e lo ha descritto come “l’agente conversazionale che può parlare di … qualsiasi cosa”. Se fosse vero, l’impatto sul mercato sarebbe più che significativo, anche se non è detto che rappresenti una disruption tale da far archiviare i vari fratellini targati Amazon e Apple (e non solo) come tecnologie da museo. La capacità di fare la differenza nella pratica, infatti, andrà testata sul campo, perché non sarebbe la prima volta – ricordate Tay, il chatbot di Microsoft lanciato nel 2016 su Twitter e rimosso dopo meno di 24 ore? – che una grande promessa tecnologica si scontra con problemi etici e pratici insormontabili.
Tutti i numeri di Meena. Guardando alle cifre e ai dati, non si può negare che Meena nasconda nelle proprie maniche diversi assi. Anzitutto, il chatbot può vantare un’intelligenza artificiale basata su una rete neurale che riesce a gestire un modello di dialogo da 2,6 miliardi di parametri. Banalizzando, ciò significa che ha un’elasticità conversazionale nettamente senza eguali. Meena è anche stata a scuola, e in 30 giorni di addestramento ha digerito 340 gigabyte di conversazioni estratte sui social network, per un totale di 40 miliardi di parole. Ed è così che ha imparato non solo a parlare di qualunque argomento, ma anche a variare lo stile della conversazione dal tono formale a quello sarcastico.
Per quantificare le capacità dei chatbot, Google stessa si è inventata un criterio di misurazione chiamato SSA, ossia sensibilità e specificità media, che assegna un valore percentuale calcolato rispetto a una conversazione ideale con un interlocutore onnisciente. Per dare un’idea, in media le persone hanno un SSA dell’86%, mentre i chatbot attualmente disponibili secondo i tecnici di Mountain View oscillano tra il 30% e il 56%. Meena ha raggiunto un punteggio del 79%, ossia ben più alto rispetto all’attuale offerta di mercato ma comunque alcuni gradini più in basso rispetto al vecchio e low-tech Homo sapiens.
Un ultimo dato interessante è la fetta di mercato che verrà aggredita da Meena: secondo le ultime stime di Juniper Research, entro un paio d’anni il mondo chatbot arriverà a valere 8 miliardi di dollari.
Quel che sappiamo del suo funzionamento
Oggettivamente, poco. Abbiamo una pubblicazione scientifica firmata dagli sviluppatori di Google e disponibile online sulla repository arXiv da fine gennaio. Abbiamo l’annuncio in pompa magna da parte dell’azienda stessa. Abbiamo una mini-demo che è in sostanza una gif che simula una conversazione. E quasi nient’altro. Google stessa ha annunciato che vuole attendere: per evitare lanci prematuri e debutti disastrosi, il chatbot verrà reso pubblico solo dopo una lunga fase di test, e per il momento non si è ancora parlato di date.
Quel che è certo, però, è che se Meena avrà performance migliori della concorrenza, non sarà un genere di prodotto molto diverso rispetto a quelli che abbiamo ora. Sarà migliore nel dare e gestire le informazioni, fornirà risposte più attinenti e più acute, potrà gestire conversazioni complesse o multi-argomento, ma non sarà comunque in grado di creare vera empatia con gli interlocutori umani, e non è chiaro quali problemi quotidiani in più potrà risolvere rispetto a quanto già si possa fare ora. Il rischio che non è ancora stato scongiurato, infatti, è di trovarci davanti a una piattaforma molto meglio confezionata rispetto alle altre, ma di fatto con un’utilità pratica quasi equivalente.