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Multinazionali, tra ristrutturazioni aziendali e resilienza

Finanza e Pagamenti

16 Marzo 2021

American Express

Mai come nel periodo storico in cui stiamo vivendo, le aziende – grandi e piccole – hanno capito la necessità di organizzarsi secondo modelli lavorativi flessibili. «Resilienza» è diventata la parola chiave del lessico aziendale, un mantra ripetuto tra riunioni e call con i clienti. Questo vale tanto per le piccole realtà quanto per i grandi gruppi multinazionali, che hanno visto le proprie filiere globali messe a dura prova dai vari lockdown. Strumenti come il digitale e lo smart-working hanno rivoluzionato, almeno nella prima fase emergenziale, le modalità produttive delle imprese, che ora si trovano a dover pianificare la seconda e la terza fase della pandemia.
 
Un punto fondamentale tra tutti è la differenza della crisi innescata dalla pandemia rispetto alle recessioni precedenti. Secondo quanto riporta il Fondo Monetario Internazionale nel suo “World Economic Outlook”, nelle precedenti crisi economiche, il settore dei servizi ha registrato una concentrazione minore rispetto ai settori produttivi, mentre nell’attuale recessione la risposta dei Governi Nazionali ha previsto profonde restrizioni in tutte le interazioni sociali, arrestando numerosi settori industriali – il commercio all’ingrosso e al dettaglio, i comparti produttivi non essenziali, l’arte e l’intrattenimento – al fine di rallentare la trasmissione del virus e cercare di contenere il contagio. Il FMI stima che per il 2021 ci sarà una contrazione dell’economia globale pari al -4,4%. Ciò si traduce in una significativa diminuzione dei volumi di vendita e dell’utilizzo della capacità produttiva per molte aziende.
 
Le multinazionali si trovano, dunque, nella necessità di dover di ripensare la propria organizzazione in ottica di ristrutturazione. Spunti utili emergono anche dalle analisi dell’OCSE sull’impatto della pandemia, che tiene in conto i danni legati all’interruzione delle catene di fornitura, alle dispute legate al mancato completamento degli ordini, alla riduzione di beni e servizi a causa dei blocchi al commercio. Tutti elementi che si sono riflessi sui ricavi 2020 di milioni di aziende con cali differenti a seconda del settore di attività. Situazione che ha portato molte organizzazioni ad orientarsi verso una ristrutturazione. Il che significa razionalizzazione dei costi, semplificazione gestionale, semplificazioni per accedere alle fonti di finanziamento e ottimizzazione fiscale.
 
Un primo aspetto da considerare quando si lavora a un piano di ristrutturazione è l’analisi dell’impatto potenziale che potrebbe avere. Si valutano – in quello che è a tutti gli effetti uno studio di fattibilità – gli indici di solidità, redditività e sviluppo prima e dopo la riorganizzazione. Sulla base dei dati raccolti si fanno ipotesi di intervento. Uno dei primi interventi possibili è il trasferimento di funzioni, ad esempio, nel caso delle attività produttive e di fornitura. Un modo per ridurre i rischi è poi in genere centralizzare alcune funzioni.
 
Inoltre, per una multinazionale è fondamentale, e lo sarà sempre di più nei prossimi mesi, conoscere ed essere aggiornata sulle misure restrittive anti-pandemia introdotte nei diversi Paesi in cui opera.  Un modo per riuscire a compensare, ad esempio, i cali produttivi in una determinata zona e sfruttare le aree dove è possibile operare invece con maggiore successo. Altro esempio può essere il mercato cinese che, per molte aziende italiane con filiali nel paese asiatico, è stato fondamentale per ripartire. Infatti, la Cina è stato uno dei primi paesi ad uscire dallo stato emergenziale dopo la prima ondata e ha trainato l’export di molte realtà italiane i cui scambi in Europa erano ancora rallentati dal lockdown.
 
Nella pianificazione di una ristrutturazione è cruciale avere obiettivi precisi e definiti. Incrociando i consigli dei tributaristi con i temi sollevati dall’indagine OCSE, in tempo di pandemia emerge che gli obiettivi strategici delle multinazionali in ristrutturazione debbano essere almeno tre: limitare le perdite preservando la redditività, rendere efficiente e resiliente la filiera, aumentare la centralità del cliente.
 
Misure adottate da migliaia di grandi realtà proprio per «mettere a terra» – per usare un’altra frase emblematica del periodo – il concetto di resilienza.

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