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L’Italia è più aperta alla diversità di come si racconta. Dopo il gay pride di Genova e di Roma, più Tel Aviv e innumerevoli capitali nel mondo, è il turno di Milano. Il sindaco Sala indossa un paio di calzini arcobaleno, i loghi delle testate si colorano e più in basso delle guglie del Duomo si comincia a percepire quel consueto brio pre-evento, proprio del capoluogo lombardo. Da Centrale a Porta Venezia: il Gay Pride 2019, il 29 giugno, si prospetta numeroso e partecipativo. Il sentiment è però più ampio e spia di un cambiamento per tutto il paese. Quattro italiani su dieci vorrebbero un engagement pubblicitario più aperto alla diversità e più inclusivo, secondo la ricerca di Women & Diversity condotta da Nielsen. Abbastanza per ipotizzare che il gay pride può iniziare ad essere considerato non solo una manifestazione della libertà della comunità Lgbtq+, ma piuttosto un segnale di costume e sintomo di insofferenza verso chi nega l’espressione di diritti ormai diffusi in tutto il mondo. Una sorta di “festa” del diritto alla diversità con un bacino ben più ampio della sola comunità Lgbtq+. C’è forse anche questo dietro il recente successo di “Nata per te. Storia di Alba raccontata fra noi” (Einaudi 2019) scritto da Luca Trapanese, padre adottivo e apertamente gay di una bambina con la sindrome di Down, a quattro mani con Luca Mercadante, il cui Presunzione uscito per Minimum Fax ha raccolto una menzione speciale della Giuria della XXX edizione del Premio Calvino.
La tua è una storia fuori dall’ordinario. Prima di cominciare con le domande, è bene raccontarla di nuovo.
Per me è una storia straordinaria, non perché siamo straordinari Alba ed io, ma perché esce fuori dagli schemi. In fondo, nessuno mai si sarebbe aspettato che, proprio in Italia, avrebbero dato in affido e poi in adozione, una bambina di trenta giorni. Al di là che Alba abbia la sindrome di Down. Questo fatto, però, ha qualcosa sicuramente di nuovo. Senza dubbio è una prima porta verso, speriamo, un cambiamento sia di mentalità, sia di possibilità di adozione. Credo che, oltre la questione della sessualità dei genitori, bisognerebbe rivedere in Italia la legge sull’adozione. Ci sono tantissimi single che possono essere degli ottimi genitori e potrebbero dare più opportunità ad un sacco di bambini che aspettano di essere adottati.
Perché la scelta di far scrivere “Nata per te” da un autore come Mercadante, dichiaratamente ateo e con posizioni spesso contrapposte alle tue?
Sentivo l’esigenza di raccontare io stesso la mia storia. Tutti dicevano, raccontavano e supponevano. Volevo parlare prima di tutto del mio desiderio di paternità, che è al pari di quello di maternità. E poi volevo raccontare del desiderio di diventare padre, ma di una bambina disabile. Non è stata una scorciatoia o una scelta di comodo per ottenere ciò che in Italia non si può ottenere. Se io avessi potuto accedere alle adozioni al pari di una coppia tradizionale, avrei comunque scelto una figlia disabile.
Luca mi ha aiutato in questo racconto perché è completamente diverso da me: ateo, eterosessuale, a favore dell’aborto e non crede nella realizzazione di un genitore con un figlio disabile. Avrei potuto raccontarlo io, ma sarebbe stato autocelebrativo. Nella scelta di raccontare ho scelto lui, quindi, per non essere frainteso. Abbiamo sviscerato inoltre una serie di problemi e domande che tanti si fanno, ma che perbenismo molti non raccontano ad alta voce. Se per l’Italia io sono idoneo ad adottare una bambina con la sindrome di Down, come uomo al di là del fatto che io sia gay, significa che sono immancabilmente idoneo ad adottare una bambina senza la sindrome di Down. Da qui nascono una serie di domande: noi single, siamo pronti o no, ad adottare un figlio?
In un passaggio del racconto Alba si confronta con il suo coetaneo Andrea che sa già andare senza rotelle, mentre Alba probabilmente non le leverà mai. Questo però non spaventa te e né Alba. Vuoi suggerire la diversità come arricchimento?
Dovremmo parlare di una società che ha costruito queste differenze. Alba e Andrea sono il sintomo di queste contraddizioni. La nostra società contemporanea è fatta esclusivamente per quelle persone che “non hanno bisogno delle rotelle”. È una società proiettata verso la perfezione: che considera la disabilità una sconfitta e che non ci educa a vederla come parte della vita.
L’Italia che racconti fa ancora i conti con le proprie idiosincrasie rispetto alle diversità. Come si fa breccia in questo muro?
Questa è una domanda difficile. Dovremmo iniziare da zero. Ricominciare dal valore della scuola. Immaginiamo magari di rivedere la figura dell’insegnante di sostegno, ad esempio. Perché la maestra di sostegno può diventare un insegnante, superando degli esami e una graduatoria, ma entra in classe non sapendo la differenza tra sindrome di Down e autismo? Non voglio alzare un polverone o una polemica, è ovvio che sia una percentuale e non una regola generale. Questo però crea un disagio: lei dovrebbe essere di supporto, ma come può farlo se non conosce le disabilità? Io partirei dal creare una maggiore dimensione di sostegno a scuola, ma con persone specializzate ed esperte che conoscono bene le differenze delle varie disabilità. Anche perché oggi bisogna confrontarsi anche con le “piccole disabilità”. Insomma, io ripartirei dalla scuola, educando alla disabilità e alla diversità. Questo potrebbe essere un inizio: se noi diamo l’insegnamento che anche le persone con disabilità possono avere la loro sessualità e la loro indipendenza sul lavoro, riusciremo a dare maggiore supporto alla diversità stessa.
Nel salotto di “S’è fatta notte”, di Costanzo, hai dichiarato che “Non possiamo chiuderci in una scatola e dire che la nostra famiglia è fatta di madre, padre e figlio”. Padre e madre sono quindi ruoli psicologici, sganciati dalla sessualità?
Esattamente, oggi dobbiamo parlare di genitori sganciati dal proprio sesso. Genitori che possono educare e crescere, dando dei fondamenti importanti a dei bambini. Alba non sentirà la mancanza di una madre se io sarò in grado di essere un buon genitore, se saprò darle le sicurezze di cui ha bisogno. Quindi non sentirà la differenza tra me e una “famiglia tradizionale”, o altri bambini che hanno una mamma e un papà, due mamme o due papà. Noi siamo una famiglia e la famiglia non si riconosce dai componenti, ma dai legami.
Questa rivoluzione dei ruoli è già in atto?
Io sono convinto che gli italiani siano cambiati. Alba ed io non siamo mosche bianche. Abbiamo fatto scalpore perché è stata data in adozione ad un padre single a soli trenta giorni, ma esistono tante altre famiglie come la nostra. La società è molto più avanti mentalmente e concretamente, e lo vedo quando incontro la gente. Non ci guardano come extraterrestri. Esistono, poi, tantissimi modelli di famiglia. Non sono nemmeno decifrabili. Credo che molto spesso, soprattutto in Italia, il popolo vada da un lato e la politica dall’altro.
Questi ideali di inclusione del diverso incontrano però anche resistenze.
È vero ma più che spaventato, sono preoccupato. Alla fine arriveremo ad un punto in cui esploderemo. Piuttosto che dividere e creare contrapposizioni, penso che bisognerebbe ascoltare i bisogni di tutti e orientarsi verso l’inclusione delle diversità. Che cosa significa poi normalità? Chi può dare una valutazione di cosa o chi è normale e chi no? Dico sempre che siamo tutti disabili in un certo qual modo, perché siamo tutti diversi uno dall’altro.
Quando pensi a un futuro per tua figlia in Italia, cosa ti auguri?
Io penso spesso al futuro di Alba e già provo a pianificarlo, come faccio anche con le persone adulte affette da sindrome di Down. Mi auguro che Alba sia vista come una persona e non come una ragazza con una sindrome. Spero sia riconosciuta per le sue doti e i suoi talenti. Mi auguro possa avere una famiglia, un lavoro, una sua sessualità e una sua affettività. I ragazzi affetti da sindrome di Down possono avere una famiglia a tutti gli effetti. Mi auguro quindi che Alba non sia vista come un problema, ma come una risorsa diversa con possibilità diverse. Quello potrebbe essere il modo con cui si può creare integrazione.