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Se ormai il cambiamento climatico è un dato di fatto che pochissimi tentano di mettere in dubbio dal punto di vista scientifico, non sempre si può dire altrettanto delle iniziative concrete adottate in Europa e nel resto del mondo per arginare il fenomeno del surriscaldamento globale. Non è affatto scontato, infatti, che si riuscirà a contenere l’aumento della temperatura media mondiale entro il limite di 1,5°C/2°C, definito come parametro condiviso e non procrastinabile dalle conferenze COP delle Nazioni Unite. Proprio la delusione di fronte alle insufficienti misure fin qui messe in campo è stata uno dei motori del movimento popolare che negli ultimi mesi ha investito il Vecchio Continente, sotto la guida iconica della giovanissima e determinata attivista svedese Greta Thunberg.
Nonostante a detta di molti siamo ancora ben lontani dall’adottare politiche lungimiranti per affrontare con serenità i prossimi anni, nel corso di questo decennio si sono moltiplicate le iniziative efficaci, sia da un punto di vista simbolico sia sostanziale, da parte di Stati, imprese, organizzazioni o privati cittadini. Storie positive, e d’esempio per tutti, che meritano di finire sotto i riflettori, con l’auspicio che possano essere uno stimolo per smuovere le coscienze e instaurare un circolo virtuoso in difesa del nostro pianeta. Dagli ultimi dati pubblicati quest’anno per l’Europa, infatti, è emerso che purtroppo ancora più della metà delle aziende (il 54%) non ha intrapreso iniziative organiche in ottica green, nonostante in molti casi si preveda che le alterazioni del clima avranno un impatto negativo diretto sul business delle imprese stesse che per ora si mostrano indifferenti.
Le aziende green per davvero
Iniziamo questo piccolo viaggio a tappe sparse dalla patria di Greta Thunberg, la Svezia, dove Ikea si è distinta per investimenti in energia pulita (per un paio di miliardi di euro) e punta all’installazione di centinaia di pale eoliche e di quasi un milione di pannelli fotovoltaici sui propri magazzini. Entro il 2020, poi, l’obiettivo è di utilizzare solo energia da fonti rinnovabili, e in parallelo di bandire dai propri punti vendita qualunque tipo di plastica usa-e-getta o non riciclabile. Anche il servizio di consegna a domicilio dei mobili dovrebbe diventare a zero emissioni nette entro cinque anni.
Nestlé, invece, ha adottato una politica rigida nei confronti dell’olio di palma e delle deforestazioni indiscriminate, eliminando dalla propria filiera tutti quei produttori che si dimostrano irresponsabili, anche attraverso un monitoraggio delle coltivazioni tramite tecnologie satellitari. Pure la francese L’Oréal ha preteso da tutti i propri fornitori la certificazione della provenienza dell’olio di palma, e ha dichiarato l’obiettivo di annullare le deforestazioni entro il prossimo anno. D’altra parte, la tracciabilità delle materie prime già nel 2017 aveva superato quota 90%, grazie all’inclusione nella filiera di 500 piccoli agricoltori malesi a cui sono riconosciuti incentivi economici. La società di abbigliamento Patagonia si è invece distinta, oltre che per il suo monitoraggio dell’impatto ambientale di tutte le parti della filiera produttiva, per la sua campagna pubblicitaria don’t buy this jacket, contro gli acquisti inutili e compulsivi, oltre che per il re-investimento dell’1% dei ricavi in iniziative a tutela dell’ambiente.
Sul fronte delle compagnie hi-tech, Fujitsu ha annunciato che vuole azzerare le emissioni nette di anidride carbonica entro il 2050, ma soprattutto punta a immettere sul mercato almeno la metà dei propri prodotti con caratteristiche che meritino la classe energetica più virtuosa possibile. Se già nel 2006 Nissan aveva dichiarato volere abbattere del 70% le emissioni di anidride carbonica entro metà secolo, ora l’asticella è stata alzata al 90%, anche grazie all’orientamento del mercato verso le auto elettriche. Ford si distingue invece sul fronte del risparmio idrico, incentivata da un sistema di condivisione di pratiche virtuose tra tutti i suoi reparti e tra le aziende satellite.
A lungo termine, ma parecchio ambiziosi, sono i progetti del colosso Unilever, che entro il 2030 vuole raggiungere l’obiettivo del bilancio negativo in termini di emissioni di anidride carbonica, con l’eliminazione pressoché integrale delle fonti energetiche fossili. In parallelo è già in corso una lotta a tutto campo contro la plastica, soprattutto in quanto a rifiuti dovuti agli imballaggi, dopo l’accusa di essere una dei principali responsabili dell’inquinamento plastico in India e Indonesia. La missione della conversione verso le energie pulite è da sempre tra i goal di Tesla, che sotto la guida del proprio Ceo visionario Elon Musk punta a farci viaggiare su auto elettriche la cui energia sia ricavata da sistemi fotovoltaici. Va detto però che, a differenza di molte altre aziende, Tesla tende a non rendere noti tutti i dettagli dei propri piani per la sostenibilità, lasciando buona parte dei progetti avvolti da un alone di mistero. La produttrice svizzera di profumi Firmenich, infine, ha meritato quest’anno una menzione d’onore per l’attenzione ad acqua e foreste, per la trasparenza nell’uso dell’olio di palma e soprattutto per la grande cura nella divulgazione delle corrette pratiche al grande pubblico.
L’Italia in generale non si distingue come un ecosistema aziendale particolarmente attento, dato che poco meno di un’impresa su tre (il 30%) è stata giudicata del tutto virtuosa. Tra aziende le più chiacchierate in positivo ci sono Brembo, per l’ottimizzazione delle risorse energetiche e idriche, Intesa San Paolo per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, Sky per la perenne campagna di sensibilizzazione contro il cambiamento climatico e Pirelli per aver messo a punto un intero ciclo produttivo degli pneumatici attento alla sostenibilità.
Dalle ONG ai progetti internazionali no profit
Tra le migliaia di organizzazioni che in tutto il mondo sono attive per proteggere l’ambiente, una delle più originali è senz’altro The Nature Conservancy, the aiuta la riproduzione dei coralli affinché possano sopravvivere all’aumento delle temperature dei mari e quindi svolgere la loro azione di smorzamento dei moti ondosi. Soprattutto negli Stati Uniti si sta sempre più affermando l’iniziativa Cool Roofs: colorando i tetti delle abitazioni con un’apposita vernice, si riduce l’assorbimento di calore, limitando la formazione delle isole di calore urbane. Tre le iniziative più originali, dagli Stati Uniti all’Indonesia ha ormai preso piede The Plastic Bank, un sistema che riconosce una ricompensa in denaro a chi conferisce rifiuti in plastica, che vengono poi riciclati o riutilizzati.
Wetlands International si concentra invece sulle torbiere, che nella percezione comune non sono il primo elemento su cui concentrarsi per contrastare il riscaldamento globale, mentre invece quando si prosciugano possono determinare il degrado del suolo e l’emissione di grandi quantità di anidride carbonica. Interessante per il pubblico italiano è pure il sito Cleanet.org, parte del progetto sulla cosiddetta climate literacy, che punta soprattutto alle giovani generazioni attraverso gli insegnanti, mettendo a disposizione online una banca dati di materiale didattico da usare direttamente in classe.
Di tipologia completamente diversa, ma con il medesimo spirito, sono poi i fondi di investimento dedicati ai progetti sostenibili, tra cui si fanno notare ad esempio il Green Climate Fund e il Climate Investment Fund. Ormai di portata globale sono anche i movimenti 350.org, che contrasta i progetti a elevato impatto ambientale con campagne online, azioni pubbliche di antagonismo e iniziative dal basso, e C40, l’organizzazione nata a Londra nel 2005 che unisce e coordina a livello globale le metropoli e le megalopoli più attente ai temi ambientali.
Cittadini migliori del proprio Stato, ma anche Nazioni virtuose
Se tra i Paesi del G20 si distinguono in negativo per tasso di inquinamento gli Stati Uniti, il Giappone e l’Australia, non mancano in giro per il mondo i casi virtuosi. I primi posti delle classifiche globali sono occupati – manco a dirlo – dalla Svezia, che pare avere già un piano più che concreto per azzerare le emissioni nette da qui al 2045, dalla Lituania, che si distingue per il tasso di penetrazione delle energie rinnovabili, e dal Marocco, che un po’ a sorpresa sta scalando le classifiche per via della crescita esponenziale nell’impiego di fonti energetiche alternative.
Grazie a un buon mix di iniziative, la Lettonia gode di ottima reputazione green, mentre Svizzera e Regno Unito occupano le posizioni alte ma sono spesso oggetto di critiche, perché (si dice) potrebbero fare di più in termini di incentivi agli investimenti virtuosi e di controllo dei prezzi. Sfatando un luogo comune, Norvegia e Finlandia hanno ricevuto valutazioni buone ma non eccellenti, perché accanto al largo impiego di energie rinnovabili non hanno attivato politiche disincentivanti sull’uso di combustibili fossili, che infatti continuano a essere maggioritari. Tra i migliori Paesi figurano al momento anche la Francia, la Romania, il Lussemburgo, l’Ucraina, il Portogallo, la Danimarca e la Croazia, senza dimenticare l’Italia che è piazzata piuttosto bene a un passo dalla top 20: secondo l’indice di performance del 2019 contro il cambiamento globale, ci collochiamo al 23esimo posto nel mondo.
Se dalla dimensione nazionale passiamo a quella individuale, è difficile stilare una graduatoria delle iniziative personali nate in giro per il mondo. Accanto a Greta, certamente merita una menzione Haven Coleman, la 12enne che si è fatta conoscere con le sue proteste di piazza a Denver, in Colorado, così come la 18enne Litia Baleilevuka nelle isole Fiji, la 21enne Marinel Ubaldo nelle Filippine, la 16enne Jamie a Washington negli Stati Uniti e l’enorme movimento dei ragazzi delle scuole superiori in Australia. Si potrebbe dire, parafrasando Greta, che alcuni Paesi e alcuni gruppi organizzati sembrerebbero di dimensioni troppo modeste per essere importanti a livello di impatto globale, ma come ben sappiamo nessuno è abbastanza piccolo da non poterci fare nulla.
Ed è proprio per questo che la generazione Z dei nati dagli anni Novanta in poi, in modo trasversale e in tutto il pianeta, è quella che si sta mostrando in generale più consapevole dell’urgenza dell’azione. Oltre a dare il buon esempio con le piccole azioni virtuose applicate al vivere quotidiano, ciò di cui oggi c’è più bisogno è accrescere la sensibilità pubblica su questo tema, con l’auspicio che la tutela dell’unico pianeta a disposizione dell’umanità prevalga sulle logiche utilitaristiche a breve termine e sull’avidità di denaro di chi – in nome del proprio interesse – tenta di lasciare in disparte la tutela delle risorse naturali e il mantenimento del delicato equilibrio che consente la vita sulla Terra.