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Patent box in cerca di rilancio dopo 5 anni

Finanza e Pagamenti

10 Giugno 2019

American Express

Nel 2019 scade il primo quinquennio per i contribuenti che hanno concluso l’accordo con l’Agenzia efficace dal 2015. Ed è già tempo di pensare al rinnovo dell’agevolazione, con lo stop ormai noto sui marchi. Ma oggi a chi conviene aderire? In effetti, il rallentamento nella stipula degli accordi finalizzati alla determinazione del reddito agevolabile ha fatto scivolare un po’ in secondo piano un’agevolazione che resta vantaggiosa (anche per chi oggi non ha ancora fatto istanza).
Senza contare che il decreto Crescita (Dl 34/2019 del 30 aprile) punta a permettere ai contribuenti di accedere all’agevolazione tramite la determinazione diretta del beneficio, rinviando a un momento successivo il confronto con il Fisco (si vedano gli altri articoli in pagina).
 
 
L’esclusione dei marchi
Il patent box – come noto – consente ai soggetti titolari di reddito d’impresa, che esercitano attività di ricerca e sviluppo, di beneficiare della parziale detassazione dei redditi derivanti dallo sfruttamento (concessione in uso, utilizzo diretto, plusvalenze da cessione) di determinati beni immateriali. L’opzione per beneficiare di tale regime di tassazione agevolata ha durata quinquennale, irrevocabile e rinnovabile. La disciplina originale dettata dalla legge di Stabilità 2015 è stata tuttavia modificata con il decreto legge 50/2017, che ha eliminato i marchi dal novero dei beni immateriali agevolabili, allineando l’Italia alle raccomandazioni Ocse.
Le statistiche delle Finanze sulle dichiarazioni Ires e Irap dell’anno di imposta 2016 (le ultime disponibili) evidenziano un interesse crescente verso lo strumento, con 1.148 società che hanno utilizzato l’agevolazione (+85% rispetto al 2015) per un ammontare di reddito detassato e plusvalenze esenti pari a 1,4 miliardi (4,3 volte il valore del 2015). Risultati che confermano il successo della misura e ne giustificano l’appeal presso le imprese.
 
 
La valutazione di convenienza
Tuttavia oggi, a cinque anni dalla prima applicazione, i contribuenti che intendono aderire al regime si trovano a valutarne la convenienza alla luce di vecchie e nuove peculiarità:
l’esclusione dei marchi comporterà inevitabilmente un maggior interesse verso software protetti da copyright, brevetti industriali, disegni e modelli, know-how, anche tra loro complementari;
l’adesione continuerà a richiedere l’espletamento di una serie di adempimenti e formalità con i conseguenti oneri amministrativi e professionali (anche in termini di tempo delle risorse aziendali da dedicare a questo aspetto) oltre agli eventuali costi per mantenere un adeguato sistema di tracking and tracing;
rimane invariato lo spirito della norma: devono valutare questa possibilità le imprese che con la loro attività di R&S sviluppano intangibili in grado di generare ricchezza e quindi margini significativi.
Il punto chiave diventa allora come stimare tale marginalità. Ai fini della determinazione del reddito attribuibile al bene immateriale nell’ambito del regime di patent box, la circolare 11/E del 2016 identifica come preferibile il metodo del confronto del prezzo (Cup); qualora questo non risulti applicabile in maniera affidabile, il metodo reddituale di ripartizione dei profitti (Rps) risulta il più appropriato.
 
 
I due metodi utilizzabili
Nel caso del metodo Cup, il reddito agevolabile si basa sull’analisi di transazioni realizzate da soggetti indipendenti aventi ad oggetti beni comparabili ed è pari alla differenza tra il canone ottenuto dall’applicazione del tasso di royalty di mercato ai ricavi identificati, e i costi diretti e indiretti fiscalmente rilevanti, sostenuti per lo sviluppo, mantenimento e accrescimento dell’intangibile agevolabile.
Il metodo Rps, spesso utilizzato per l’impossibilità di individuare transazioni comparabili, assume, invece, di isolare il reddito attribuibile alle funzioni cosiddette “routinarie” dal risultato economico dell’impresa, consentendo per differenza la determinazione dell’utile o perdita residua derivante dall’utilizzo dei beni intangibili.
Il beneficio finale si sostanzia in una variazione in diminuzione del 50% della quota di reddito agevolabile, pari al prodotto tra il contributo economico dell’intangibile e il nexus ratio (rapporto tra i costi di R&S e le spese complessive sostenute per l’intangibile da agevolare). E i risultati pubblicati dimostrano come, oltre ad averne beneficiato le imprese più grandi (il 4% dei beneficiari vanta ricavi superiori a 250 milioni e ha utilizzato circa il 58% del reddito detassato), anche i contribuenti di minori dimensioni l’abbiano sfruttato (il 43% dei beneficiari realizza ricavi compresi tra 100.000 e 2,5 milioni e ha utilizzato il 2,5% del reddito detassato). Da non dimenticare, peraltro, la possibilità prevista per le Pmi di godere di una procedura semplificata.

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