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Prima o poi doveva accadere: il motore dei Pir batte in testa e potrebbe essere costretto a scalare marcia dopo la vertiginosa e inaspettata corsa dei primi 12 mesi. Non è certo un caso che il rallentamento corrisponda alla prima vera fase complessa attraversata dai mercati finanziari dal momento della loro introduzione, all’esplosione della volatilità a globale e alle incertezze che riguardano la formazione del Governo nel nostro Paese. Il dubbio è se si possa parlare di semplice pausa di riflessione di un percorso destinato comunque alla crescita o se le incertezze degli ultimi mesi siano il sintomo di un malessere più profondo per i Piani individuali di risparmio introdotti con la Legge di Bilancio 2017.
Per la verità la frenata non è al momento ancora visibile nella raccolta dei prodotti Pir: le cifre ufficiali relative al primo trimestre dell’anno – peraltro difficilmente confrontabili con quelle di 12 mesi fa, quando gli strumenti erano in rampa di lancio – saranno diffuse da Assogestioni lunedì prossimo, ma dai dati parziali raccolti in via preliminare da Plus24 e riportati nell’Osservatorio Pir pubblicato oggi non sembrano trasparire frenate significative. Non è detto che da qui ai prossimi mesi si possano rivedere le stime sul 2018 (al momento circa 10 miliardi di euro dopo gli 11 miliardi dello scorso anno), ma l’impressione è che si possa trattare di spostamenti contenuti e tali da non mettere in discussione un successo finora acclarato.
Il cambiamento di marcia è invece incontestabile per un altro dei fattori chiave sul quale l’introduzione dei Pir ha avuto un effetto dirompente: la liquidità sulle piccole quotate di Piazza Affari. Fra il 10 aprile e il 10 maggio, secondo Intermonte Sim, il controvalore medio degli scambi giornalieri fra le small cap è sceso a poco meno di 2,2 milioni di euro da 2,5 milioni del mese precedente. Il confronto è ancora più penalizzante se il volume medio scambiato quotidianamente si confronta con quello dei dodici mesi precedenti, visto che in questo caso la riduzione sale addirittura del 15 per cento.
Il fatto che il fenomeno sia accentuato sulle piccole società (per le maggiori 20 capitalizzazioni dell’indice Ftse Italia Mib Small Cap lo scarto si riduce a -5%, mentre le mid cap e i titoli del Ftse Mib hanno addirittura migliorato rispettivamente del 4% e del 3% la liquidità) dimostra come in presenza di una volatilità accentuata gli investitori si mostrino più riluttanti verso le società più piccole e meno liquide, rifugiandosi invece nei titoli più scambiati, dai quali è più facile uscire in caso di correzione.
Niente di particolarmente nuovo o sorprendente quindi, che ha come conseguenza logica una sovraperformance di queste ultime (da inizio anno il Ftse Mib ha guadagnato quasi il 9%) rispetto alle più piccole del listino milanese (-2%). Il problema è che la situazione potrebbe a questo punto scoraggiare gli imprenditori dall’imboccare la strada della Borsa e far saltare qualcuna delle Ipo già programmate e delle quali il mercato ha bisogno, anche per garantire maggiori possibilità di investimento agli stessi strumenti Pir: nelle ultime settimane per una Itema che ha rinunciato c’è una Somec che ha compiuto il grande passo in attesa delle altre, a partire dalla Rainbow delle «fatine» Winx.
I dubbi iniziano insomma a essere diversi ed è naturale che fra gli addetti ai lavori crescano interrogativi e discussioni. Il tema della pausa di riflessione dei Pir tiene banco nel workshop «Le Eccellenze del Made in Italy» organizzato a Genova ieri e oggi da Intermonte e KT & Partners, che vede fra gli altri la partecipazione del Direttore Generale di Assogestioni, Fabio Galli, del segretario generale di Aipb, Antonella Massari, e di Lorenzo Fioramonti, Deputato e a suo tempo proposto da M5S come ministro dello Sviluppo economico nella lista elaborata prima delle elezioni.
«L’impressione generale è che i Pir si confermino un provvedimento eccellente, ma che questa eccellenza non sia un atto ma un’abitudine che occorre continuare a mantenere», spiega Gianluca Parenti, Partner di Intermonte Sim, sottolineando la necessità di «fare manutenzione» e di capire dove vi siano margini di miglioramento. Spazi di manovra esisterebbero, per esempio, anche guardando alla struttura degli investitori. «La raccolta è consistente, ma anche eccessivamente concentrata fra pochi grandi gestori, basti pensare che i primi 5 fanno il 70% del mercato: se a questi si affiancassero operatori di taglia più piccola, ma specializzati, anche la liquidità delle small cap ne trarrebbe vantaggio», aggiunge Parenti.
Sempre in tema di liquidità – avverte Kevin Tempestini, ceo di Kt&Partners – servirebbe «uno sforzo anche da parte delle aziende già quotate a valutare ulteriori operazioni di allargamento del flottante, cosa che nel medio termine andrebbe anche a vantaggio del loro stesso interesse». Altro nodo è la mancanza all’appello finora di tutto il mondo previdenziale: «Fondi pensione e casse di previdenza – sottolinea ancora Parenti – non hanno potuto ancora sfruttare quest’opportunità perché frenati da regole che lo impediscono e che occorrerebbe rimuovere». Gli interventi possibili per migliorare il cantiere ancora in movimento dei Pir non mancano di certo.