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Sulle complesse riforme del codice degli appalti piomba la sentenza della Corte di giustizia europea che dichiara illegittimo il tetto per legge al subappalto (al 30% in origine, poi aumentato dal decreto sblocca cantieri fino a un massimo del 40% su decisione delle singole stazioni appaltanti). La sentenza è una mina sul quadro legislativo dei lavori pubblici che segue i numerosi richiami e la durissima lettera di messa in mora spedita da Bruxelles a gennaio. Sarà più difficile ora far finta di niente o correre ai ripari con piccoli ritocchi, come è stato fatto finora, perché le motivazioni della sentenza costituiscono una sorta di ultimatum europeo all’Italia: la lotta alla criminalità mafiosa non può essere perseguita con un vincolo generalizzato al subappalto ma va fatta con strumenti più mirati. Le stazioni appaltanti che indicheranno il tetto al subappalto – richiamandosi al limite generale previsto dalla legge – potranno incorrere più facilmente in ricorsi in Italia e in Europa già nella fase di gara e poi nelle fasi successive.
Anche le imprese scendono in campo chiedendo un chiarimento netto e senza tentennamenti sull’intera materia del subappalto. «Questa sentenza – ha subito commentato il presidente dell’Ance, Gabriele Buia – chiarisce, una volta per tutte, la correttezza delle posizioni che l’Ance ha sempre, con trasparenza, portato avanti in tutte le sedi istituzionali. Non è più rinviabile – ha aggiunto – un intervento complessivo del legislatore per allineare la normativa italiana a quella europea a tutela di tutte le tipologie d’impresa, nessuna esclusa».
La questione finisce nelle mani della ministra delle Infrastrutture, Paola De Micheli, e della maggioranza parlamentare M5s-Pd. Il nuovo scenario sembra rafforzare e forse accelerare l’idea che nella maggioranza già si era fatta strada di un intervento di correzione legislativa al codice appalti, appena riformato con il decreto legge sblocca cantieri. Il punto è ora se le correzioni legislative – mirate – debbano avvenire prima del varo del regolamento attuativo unico previsto dallo sblocca cantieri.
La correzione riguarderebbe, secondo le indicazioni giallorosse di questi giorni, misure tutte centrate su flessibilità, semplificazione, velocità delle procedure, sicurezza del lavoro, definizione più dettagliata del sistema delle responsabilità degli amministratori e degli operatori economici. Tutti interventi che hanno per obiettivo l’accelerazione degli investimenti pubblici e privati.
Sulle infiltrazioni mafiose l’indicazione politica è quella di garantire un’azione di ostacolo lungo tutte le fasi del processo. Ma ora dovrà essere conciliata con la sentenza Ue.
De Micheli finora non si è espressa sul codice appalti, né su tempi e contenuti del regolamento attuativo unico per cui l’ex ministro Toninelli aveva avviato una consultazione pubblica, conclusa il 4 settembre. È ancora l’Ance, che apprezza la previsione del regolamento unico in sostituzione della soft law affidata all’Anac, a incalzare su questo punto. Chiede nel suo documento «una effettiva par condicio fra amministrazione e privati», una qualificazione che premi le imprese più strutturate, pagamenti in linea con la direttiva comunitaria, risoluzione delle controversie con tempi certi e perentori. L’Ance vorrebbe un regolamento dedicato esclusivamente ai lavori pubblici, separando le norme destinate a forniture e servizi. Più in generale le imprese chiedono semplificazioni e su questo obiettivo troveranno certamente ascolto nella ministra e nella maggioranza.
Intanto anche i dati di agosto confermano che non c’è stato un blocco del mercato nonostante l’ampia riforma introdotta dal decreto sblocca cantieri. L’osservatorio Cresme-Sole 24 Ore rileva infatti 2,9 miliardi di opere messe in gara ad agosto 2019 che sono comunque il +26% dei 2,3 miliardi rilevati nell’agosto 2018. Per l’intero periodo gennaio-agosto, si conferma la netta ripresa del mercato: nel 2019 sono stati rilevati bandi per 24,2 miliardi contro i 17 miliardi del 2018 (+42%).