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Un trasporto urbano tutto cashless

Finanza e Pagamenti

11 Giugno 2020

American Express

Carte di credito, carte prepagate, badge, abbonamenti via web, biglietti via app, Near Field Communication (NFC), codici QR e pagamenti con lo smartphone: non c’è dubbio che a oggi la tecnologia offra un ampissimo ventaglio di possibilità per pagare in digitale, pure quando si tratta di salire a bordo di un mezzo pubblico come un tram, una metropolitana o un autobus cittadino.
 
 
E se ormai parrebbe strano e obsoleto un trasporto pubblico in cui sia impossibile acquistare un biglietto in forma elettronica – fosse anche con un sms – il tema che si pone oggi è se, e quando, si possa arrivare ad abbandonare definitivamente il denaro contante. E non si tratta di un problema tecnico, dato che la tecnologia per farlo esiste già e non è nemmeno più di frontiera, ma di una questione culturale.
 
 
Il mondo è bello perché è vario
 
 
Quando si tratta di trasporto metropolitano cashless, non è difficile farsi venire in mente esempi eccellenti. Basta pensare alla Oyster card del trasporto londinese, al suo successo e alla sua versatilità. Così come ai tanti analoghi replicati in molte città, incluse quelle italiane.
 
 
Tra i primi Paesi ad ambire a dire addio a monetine e banconote sugli autobus c’è Singapore, che già nel 2017 aveva pianificato di raggiungere il full-cashless entro la fine del 2020. Ma non accadrà: le persone più avanti con l’età, ma non solo, stanno continuando a preferire i contanti ai biglietti digitali, con il risultato che il governo si è reso conto di dover cambiare i propri piani. Anziché imporre brutalmente la chiusura dei canali tradizionali di pagamento, la strategia adottata dall’autorità locale dei trasporti è quella della spinta gentile, ossia indurre le persone a passare al digitale rendendo quest’ultimo metodo più vantaggioso e conveniente. Ma finché anche l’ultimo nonnino non deciderà spontaneamente di affacciarsi al digitale, i contanti continueranno a essere accettati, sia agli sportelli sia a bordo dei mezzi.
 
 
Ancora diverso è il caso dell’India. Qui ci fu una netta virata verso i pagamenti digitali nel 2016, quando il primo ministro Narendra Modi avviò una politica nazionale di demonetizzazione, che influì (tra le altre cose) sul trasporto pubblico. Anche qui l’utopia del 100% digital è ancora lontana, ma il sistema di incentivi si è auto-realizzato. Anziché di natura economica, l’asimmetria tra pagamenti digitali e fisici è una questione di tempo: da un lato ci sono i sistemi elettronici che risolvono la questione del biglietto in un istante, dall’altro le infinite code agli sportelli di vendita, sempre particolarmente affollati a Mumbai e New Delhi.
 
 
Se la prende ancora più comoda il Kenia, che pur avendo adottato un regolamento che obbliga tutti i servizi di trasporto a garantire forme di pagamento digitali ha deciso di non forzare in alcun modo la mano. Il biglietto elettronico, dicono le autorità, è preferibile perché dà garanzie in più in caso di contenzioso, e aiuta a combattere il problema della corruzione dilagante. Ma allo stesso tempo, esistono importanti segmenti di popolazione che non possiedono ancora la tecnologia necessaria ad abbandonare il contante, quindi non avrebbe senso pretendere un’accelerazione improvvisa della trasformazione digitale.
 
 
Tra criptovalute e il 10% di tolleranza
Ad oggi le certezze sul trasporto pubblico cashless sono almeno un paio. La prima è che porta con sé un gran numero di benefìci e che l’abbandono del contante è un trend progressivo e inesorabile. La seconda, altrettanto sicura, è che ambire a un 100% cashless nel giro di qualche anno o addirittura pochi mesi è insensato. Anzitutto perché ci sono persone che, da sempre abituate a usare la monetina per pagare il biglietto, difficilmente cambieranno la loro routine, soprattutto se avanti con l’età, o anche perché, se si parla di 100%, vorrebbe dire che anche i giovanissimi e le giovanissime, i nullatenenti e i più disagiati dovrebbero dotarsi di sistemi hi-tech.
 
 
A conti fatti, dunque, gli esperti ritengono sia più saggio fissare l’asticella al 90%, il che vorrebbe dire ottenere comunque la stragrande maggioranza dei vantaggi in termini organizzativi e di servizio, ma allo stesso tempo lasciare alle persone una libertà in più. Combinando magari questa dichiarazione di intenti con iniziative che incentivino l’uso del digitale, senza però che questo significhi disincentivare il contante: vale a dire, sconti per il cashless ma non sovrapprezzi per il denaro fisico, sistemi sempre più rapidi per la via elettronica, ma non disservizi o carenze organizzative nella gestione di sportelli e punti vendita tradizionali.
 
 
Nell’attesa che si arrivi davvero, magari in qualche lustro, a dire addio al contante sui trasporti pubblici, sul mercato si affacciano nuove possibilità tecnologiche. Fra queste, l’eventualità di poter pagare in criptovaluta, dal Bitcoin all’Ethereum e a tutto il resto. Al momento è già in un certo senso fattibile, nel senso che si possono vendere Bitcoin per comprare euro, e poi con quegli euro acquistare biglietti. Se invece non si volesse passare per la valuta nazionale, per ora si contano solo sperimentazioni locali, come quella partita nella seconda metà dell’anno scorso a Fortaleza, in Brasile. In prospettiva, però, è possibile che il sistema possa guadagnarsi una fetta non trascurabile del mercato.

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