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Stallo sui lavori di una tassazione globale. E per chi prova le fughe in avanti per dotarsi di leggi nazionali, come l’Italia, scattano le ritorsioni degli Stati Uniti, con la minaccia di dazi su settori come l’agroalimentare. In tutto ciò sfuma sempre di più l’ipotesi di arrivare con un progetto di tassazione digitale condiviso.
Giugno rovente a colpi di lettere.
A giugno se non è stata una dichiarazione di guerra, poco c’è mancato. Il tenore della lettera che il ministro delle finanze americane, Steven Mnuchin, ha inviato a Francia, Spagna e Italia era chiaro: gli Stati Uniti non parteciperanno ai tavoli OCSE sulla tassazione delle imprese multi-localizzate.
In particolare, il diniego USA verte sulla tassazione delle imprese digitali che non hanno sede fisica, o ne hanno una minima, e vendono però beni e servizi. Il nodo è proprio riuscire a tassare correttamente (e con una soluzione condivisa) il profitto che si genera dove però non c’è la presenza fisica, condizione attuale su cui si sviluppa il principio di tassazione dei profitti di un’impresa in un determinato paese. Secondo gli Stati Uniti, i Paesi destinatari della lettera sono responsabili di essersi dotati di legislazioni nazionali sulla web tax e ciò equivale ad aver imposto dei dazi nei confronti degli Usa. A questo atto si risponde, in una sorta di dente per dente fiscale, con la creazione di dazi americani sui prodotti di Francia, Spagna e Italia. Rischiano dunque i prodotti eccellenza del made in Italy: dal vino alla pasta, dall’olio al parmigiano. L’uscente segretario dell’OCSE, Angel Gurria, ha commentato aspramente la presa di posizione degli USA di far saltare il tavolo dei negoziati descrivendo uno scenario da Babele fiscale dove, invece della convergenza delle regole, ogni paese si sentirà libero di adottare una propria disposizione, andando così ad accrescere le controversie fiscali e le tensioni commerciali.
Le mitigazioni di Italia-Francia-Spagna.
Così come a gennaio la Francia, per mitigare le prime frizioni con gli Stati Uniti, aveva annunciato il congelamento della propria web tax, l’Italia ha provato a raffreddare gli animi ammorbidendo la linea intrapresa sulla tassazione. Si ipotizza, dunque, che la web tax italiana, in vigore dal 2020 ma in versamento all’erario nel 2021, colpisca solo i social network e i motori di ricerca, escludendo, dall’ambito di applicazione, le società che vendono beni e servizi online. Inoltre, il Ministro dell’Economia italiano, insieme ai suoi omologhi francese, spagnolo e britannico ha inviato una lettera al Ministro delle Finanze americano dove propone un approccio graduale per settori digitali.
L’OCSE.
L’intervento dell’organizzazione si incentra su un doppio binario o come è denominato, nella proposta allo studio, un doppio pilastro. In estrema sintesi, con il primo pilastro, si darebbe diritto ai Paesi di tassare gli utili sulle vendite effettuate verso i consumatori che sono residenti nel proprio Paese. Si fa riferimento al criterio del nesso declinato in diversi ambiti (ad esempio gli ambiti in cui i consumatori creano valore, la presenza di fattori intangibili e la presenza economica). Il secondo pilastro, invece, prevede la fissazione di un’aliquota minima (del 3%) a cui assoggettare il reddito di una multinazionale riducendo gli incentivi e la pratica di trasferimento degli utili verso Paesi con aliquote fiscali estremamente vantaggiose che creano distorsioni (il cosiddetto dumping fiscale).
I lavori dell’Ocse.
Nell’ultimo G20, che si è svolto virtualmente in Arabia Saudita, i Paesi si sono impegnati a raggiungere una soluzione condivisa sulla tassazione digitale entro la fine del 2020. Evidenziando che la web tax è una questione urgente la cui discussione tiene banco da oltre sette anni. Ma si lanciano anche segnali distensivi, sottolineando che il lavoro sulla distribuzione dei diritti nei vari Paesi (primo pilastro) e l’applicazione delle regole minime di tassazione globale (secondo pilastro), procedono anche con la collaborazione degli Stati Uniti. Quest’ultimi però hanno avanzato la proposta di prendere una pausa per riprendere dopo gli impegni elettorali di novembre, sperando che anche l’emergenza Covid-19 sia conclusa.
La proposta UE.
In contemporanea con l’approvazione del recovery fund europeo (piano di aiuti finanziari straordinario per fronteggiare la crisi economica dovuta a quella sanitaria da Covid-19), compare nelle voci del bilancio UE la web tax, necessaria assieme ad altre imposte – come la plastic tax – a finanziare gli aiuti per i Paesi colpiti dalla pandemia. La proposta è quella di avviare l’imposizione digitale dal 2023 con le regole che saranno stabilite in sede OCSE.